Ci sono alcuni vecchi tromboni del giornalismo italiano che oggi, dopo aver detto per anni il contrario, scrivono che in Egitto c’è una dittatura che tortura e umilia. Questi vecchi “esperti di Medio Oriente” che ci hanno raccontato il mondo arabo dal balcone di una stanza d’albergo, aiutati da giovani traduttori sottopagati, solo ora scoprono il valore, salvo poi dimenticarselo la prossima settimana, di Giulio Regeni e, forse, di altri giovani come lui.

Ricordo di Giulio Regeni ad ambasciata Italia al Cairo

Ci sono decine di giovani, ragazze e ragazzi, che hanno studiato all’estero e che svolgono la professione di giornalisti in Medio Oriente. Scendono in strada; parlano arabo – lingua sconosciuta per gli esperti di mondo arabo con i capelli brizzolati – e vedono, osservano, le sfumature di un mondo troppe volte banalizzato e appiattito in: dittatori (male minore) e terroristi. E’ evidente che Regeni, un altro giovane di questa generazione di trentenni che riceve per un articolo qualche decina di euro e un “se non ti sta bene puoi andare“, aveva provato – inascoltato – a mettere in risalto la resistenza della società civile egiziana di fronte alla repressione di una dittatura spietata, descritta fino al giorno prima del suo omicidio come “necessaria alla stabilità dell’area, utile nella lotta al califfato e protettrice di cristiani, quindi laica”. Fra i commentatori che oggi puntano il dito contro il regime di al Sisi, più di uno aveva elogiato “il colpo di Stato”, perché “al Sisi è laico mentre i fratelli musulmani vogliono imporre la legge divina”. Una parte della nostra opinione pubblica, abituata al piattume, all’assenza di un reale dibattito sul Medio Oriente che coinvolga intellettuali arabi e una sana, vera, conoscenza della Storia di questa parte del mondo, non aveva fatto altro che elogiare questi vecchi tromboni. Non si è ancora capito che la società civile araba cerca una via oltre il regime e il fondamentalismo.

Le dittature, in casa degli altri, vanno sempre bene se portano avanti i nostri interessi. Così, non pareva strano sentire Matteo Renzi, intervistato da Barbara Serra su al Jazeera, dichiarare “penso che al-Sisi sia un grande leader. […] In questo momento l’Egitto può essere salvato soltanto dalla leadership di al-Sisi, questa è la mia opinione personale. Sono orgoglioso della nostra amicizia e lo aiuterò a proseguire nella direzione della pace perché il Mediterraneo senza Egitto sarà senza dubbio un posto senza pace”.

Francamente, spero che la terribile sorte di Giulio Regeni, al quale mi sento profondamente vicino, ci insegni ad apprezzare giovani come lui, a dar loro credito e ascolto; a smettere di credere che esistano dittature buone (perché utili). E’ altrettanto evidente che la politica reale, come un certo giornalismo di destra, non vede l’ora che questa storia venga dimenticata. Sta a noi trarne il maggior insegnamento. Sta a noi rimanere vicini alla famiglia e rivendicare, insieme a loro, giustizia.

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