Distratti dai problemi bancari di casa nostra, in Italia stiamo facendo passare inosservato quello che intanto accade nel settore in Germania. Dove la situazione del gruppo Deutsche Bank inizia a destare qualche seria preoccupazione. Gli indicatori di malessere sono innumerevoli ma il responso è sempre lo stesso: febbre alta. Nell’ultimo mese il titolo della prima banca tedesca è sceso di oltre il 30%, a 15 euro per azione, meno di quanto valeva durante la crisi del 2008-2009. Nell’ultimo anno il calo supera il 40%. La banca vale in Borsa circa 20 miliardi di euro, la metà dell’italiana Intesa Sanpaolo. Volendosi spingere ancora più indietro, il risultato di un investimento fatto nella banca nel 2009 avrebbe comportato una perdita del 76% dividendi inclusi.

Fin qui l’andamento in Borsa. Ma ci sono anche segnali più sinistri. In un mese il prezzo dei credit default swap su Deutsche Bank, una specie di assicurazione contro il rischio di default, è schizzato da 90 fino a 190 punti. Per contro è crollato il valore dei cosiddetti “coco bond” (convertible contingent bond), obbligazioni che a determinate condizioni possono essere trasformate in azioni per rafforzare il capitale dell’emittente. Nel 2014 Deutsche Bank ha emesso coco bond per un controvalore di circa 5 miliardi. E sono titoli che, nell’ipotesi peggiore, entrano in prima linea sul fronte delle perdite in caso di salvataggio con le nuove regole europee del bail in. Titoli molto rischiosi per chi li compra, ma con rendimenti che in questi tempi di tassi zero fanno gola a molti, fondi pensione e assicurazioni in primis. A dicembre i coco bonds di Deutsche Bank venivano scambiati a circa il 95% del loro valore nominale, oggi siamo al 77%. Numeri che descrivono il clima di profonda sfiducia che specialmente nell’ultimo mese ha avvolto la banca.

Il gruppo ha annunciato di aver chiuso il 2015 con perdite per quasi 7 miliardi di euro e ricavi in flessione del 15% nel solo ultimo trimestre. Cifre importanti ma gestibili per un colosso con attivi per 1.700 miliardi di euro e ricavi su base annua 33 miliardi (+5% sul 2015). Nel 2013 la più piccola Unicredit chiuse l’anno con 14 miliardi di perdite e quasi a nessuno venne in mente di parlare di emergenza. Ma non è il rosso, dovuto soprattutto a spese legali e multe per lo scandalo della manipolazione del Libor, a preoccupare gli osservatori.

Il gruppo ha emesso derivati per 75mila miliardi di euro, 20 volte il Pil tedesco

Deutsche Bank è un gruppo molto attivo nel business dei derivati. Da anni tiene a bilancio ingenti quantità di titoli tossici classificati di livello 3. Ossia strumenti finanziari a cui non si riesce a dare un prezzo perché non trattati sui mercati e non equiparabili ad altri prodotti simili che invece lo sono. A quel punto è la stessa banca a decidere, attraverso dei modelli interni e con ampio margine di discrezionalità, quale valore attribuire a questi titoli. Stando ai dati di fine settembre il gruppo tedesco aveva in pancia titoli di questo tipo per 32 miliardi di euro. Nel 2014 erano 31 miliardi, nel 2013 29. La banca insomma non riesce a disfarsi di questa montagna di carta di cattiva qualità che si trascina dietro anno dopo anno. Se si considera che il capitale della banca, prima barriera contro le perdite, vale circa 69 miliardi si fa presto a capire come l’incidenza di questi titoli sia potenzialmente destabilizzante. A titolo di paragone Intesa Sanpaolo con un capitale di 47 miliardi di euro ha a bilancio titoli di livello 3 per 6,7 miliardi di euro.

Un altro aspetto delicato della situazione finanziaria di Deutsche Bank è l’alto livello della sua leva finanziaria. Ossia il rapporto tra il valore degli attivi e il patrimonio della banca. In questo momento è poco al di sotto di 1 a 25. In pratica con una diminuzione del 4% del valore dei suoi attivi il capitale della banca verrebbe azzerato. Il valore è sensibilmente ridotto rispetto a valori monstre di 1/50 del periodo prima della crisi ma comunque piuttosto elevato: Intesa Sanpaolo si ferma ad esempio a 1/14. Il valore della banca tedesca in borsa è oggi un terzo del suo capitale. Una rapporto particolarmente basso (0,3) se confrontato con quello degli altri colossi europei del credito. La francese Bnp Paribas è ad esempio allo 0,5 così come Credit Suisse mentre l’inglese Barclays si ferma allo 0,44 e le italiane Intesa Sanpaolo e Unicredit rispettivamente allo 0,8 e 0,4.

In questo quadro di forte sfiducia verso al banca tedesca c’è anche chi inizia a far notare come il gruppo abbia emesso derivati per 75mila miliardi di euro, ossia circa 20 volte il Pil tedesco, venduti a controparti in ogni angolo del globo. La dimensione sistemica del colosso tedesco è quindi impressionante. Anche per questa ragione il nervosismo sulle prospettive dell’istituto risulta giustificato e le evoluzioni della situazione di Deutsche Bank merita di essere seguita con la massima attenzione.

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