“La trasparenza di facciata non basta. Bisogna smetterla con questo approccio formalistico: quello che conta è comunicare se gli obiettivi vengono raggiunti e se le donazioni agli enti non profit determinano un impatto sociale positivo“. Ad auspicare che le onlus italiane facciano un salto di qualità nella rendicontazione è Stefano Zamagni, economista ed ex presidente dell’Agenzia per il terzo settore abolita dal governo Monti. Sotto la lente ci sono i costi sostenuti dalle organizzazioni per il funzionamento della propria struttura e per organizzare le campagne di raccolta fondi. E il rapporto tra quei costi e i risultati ottenuti. “Commisurare le spese all’output, cioè a quello che si è fatto”, sostiene il professore, “non dice nulla sull’efficacia nel raggiungere l’obiettivo e su quanto e se quel progetto ha effettivamente migliorato le vite dei destinatari”. Paolo Pesticcio, giurista esperto di legislazione del non profit, aggiunge che “sarebbe opportuno rendere obbligatoria la pubblicazione di una relazione su ogni raccolta pubblica di fondi, con il dettaglio di spese sostenute e soldi ricavati”. Oggi non esistono norme ad hoc, ma solo le linee guida emanate nel 2011 dall’Agenzia per il terzo settore e una circolare dell’Agenzia delle Entrate in base alla quale i costi “devono essere contenuti entro limiti ragionevoli”. I decreti attuativi della sofferta riforma del terzo settore, impantanata al Senato, potrebbero essere l’occasione per intervenire.

I bilanci delle maggiori onlus sotto la lente – Nel frattempo, per verificare qual è il grado di trasparenza garantito dalle maggiori onlus italiane e quali i margini di miglioramento Ilfattoquotidiano.it ha esaminato i bilanci delle associazioni che nel 2014 hanno registrato i ricavi più alti tra quelle con maggiori introiti da 5 per mille (quindi le più conosciute dai cittadini). Escludendo singoli ospedali e strutture sanitarie, sono l’Associazione italiana per la ricerca sul cancro (Airc), Save the children, Telethon, Medici senza frontiere, Comitato italiano per l’Unicef, ActionAid, Emergency e Associazione italiana leucemie (Ail) (guarda l’infografica di Pierpaolo Balani). Tutte evidenziano quanti dei soldi che ricevono vengono usati per i progetti e quanto invece va a pagare stipendi, affitti e altre spese vive, partendo dal presupposto che in base alle buone prassi internazionali questa percentuale non deve superare il 20 per cento. Il confronto però non è facile: alcune calcolano il rapporto sul totale della raccolta, altri su quanto raccolto al netto delle spese, altri ancora sui costi complessivi.

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