C’è un’inchiesta a Torino sul business dell’accoglienza e coinvolge due importanti associazioni cittadine: la cooperativa Animazione Valdocco e “Terra del Fuoco”, vicina ad alcuni esponenti di Sel. Riunite in un raggruppamento temporaneo di imprese hanno partecipato e vinto un appalto per lo sgombero di un campo nomadi abusivo e per l’accoglienza dei rom in alloggi, ma secondo gli investigatori non avrebbero avuto né gli alloggi né le carte in regola. L’esistenza dell’indagine è emersa oggi con le perquisizioni del Nucleo di polizia tributaria della Guardia di finanza.

Il sostituto procuratore Andrea Padalino ha iscritto nel registro degli indagati tre persone. Tra loro Oliviero Alotto, presidente di “Terra del Fuoco”, associazione fondata nel 2001 e a lungo guidata da Michele Curto, attualmente consigliere comunale di Sel. L’ipotesi di reato nei confronti di Alotto è di turbativa d’asta, stessa accusa rivolta anche a Paolo Petrucci, capo della cooperativa cattolica. Il terzo indagato è invece Giorgio Molino, noto in città come il “ras delle soffitte” perché proprietario di più di un migliaio di appartamenti e mansardine del centro. È lui che ha fornito alle associazioni gli alloggi per le famiglie nomadi, alloggi ricavati all’interno di un ex opificio che però non era destinato all’edilizia residenziale, ragione per cui Molino è indagato per vari abusi edilizi.

Il bando – dal valore complessivo di 5 milioni di euro, molti dei quali provenienti dal Ministero dell’Interno – è stato preparato dal Comune di Torino nel 2013 con l’obiettivo di sgomberare il campo in cui abitavano quasi 800 nomadi vicino al torrente Stura. La gara è stata vinta dal raggruppamento “La città possibile” che comprende anche la Croce rossa italiana, l’Associazione italiana zingari oggi e la cooperativa Liberitutti. Dovevano liberare l’area, ripulirla e attuare progetti di inclusione abitativa e sociale per i rom attraverso diversi progetti. Uno di questi prevedeva l’inclusione in alloggi privati, ma quest’obiettivo, però, è stato subito difficile da raggiungere perché “La città possibile” non trovava alloggi da recuperare e destinare all’accoglienza dei rom. La soluzione è ricaduta quindi su un edificio della Acaja srl di Molino, un ex opificio in cui sono state ricavate delle abitazioni. Tuttavia queste casette, notava il consigliere comunale di Fratelli d’Italia Maurizio Marrone, autore dell’esposto alla procura nel marzo scorso, erano però accatastati come edifici del gruppo B6, “biblioteche, gallerie, pinacoteche” oppure E7, come edifici di culto. Insomma, non proprio in regola.

“Pur di conseguire gli obiettivi progettuali previsti dall’appalto indetto dall’Ente locale, (il raggruppamento, ndr) ha di fatto utilizzato immobili sprovvisti dei requisiti di abitabilità e nei quali sono stati accertati numerosi reati di abuso edilizio”, spiega il procuratore capo Armando Spataro in un comunicato. Non solo. Sono anche emerse “alcune criticità, legate soprattutto alla insussistenza di condizioni e soluzioni prospettate per l’allocazione temporanea dei nuclei familiari che, in uscita dai campi nomadi, avrebbero dovuto ricevere una diversa ospitalità presso strutture di fatto rivelatesi insussistenti”. Insomma, i progetti de “La città possibile” erano forse impossibili da realizzare e così, alla fine, non sono state coinvolte tutte le persone che avrebbero dovuto beneficiare dell’assistenza.

Il consigliere FdI Marrone si dice soddisfatto dell’apertura di questa indagine: “Significa che anche la Procura e la Guardia di Finanza sospettano che dietro l’appalto rom ci sia un business torbido per il solito circuito di cooperative e associazioni bianche e rosse”.

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