Ancora una volta niente è come pare. Il Renzi pellegrino in quel di Ventotene – a colloquio con gli spiriti degli antichi antifascisti confinati nell’isola, che vi sognarono un’Europa generosa – non è l’improvvisa conversione di un bulletto dialettale, bulimico di potere, nel leader visionario guidato dal disegno delle grandi architetture di statualità post statuale.

Il Presidente Matteo Renzi a Ventotene

Se così fosse, non avrebbe avuto senso ponziopilateggiare mentre le (attualmente) deprecate burocrazie di Bruxelles martirizzavano l’ormai inerme Alexis Tsipras.

Infatti, in quel momento erano tre le posizioni a calcare la scena politica europea. E quella allora identificata nel leader greco corrispondeva al recupero dell’originaria idea democratica e federale della costruzione (ormai allo sbando); riportata a nuovo sotto forma di Piano Marshall per il risanamento delle ferite sociali – con relativi saccheggi – prodotte dalla guerra civile scatenata dal blitz NeoLib contro le popolazioni del Vecchio Continente.

Dopo la scuoiatura da vivo del portavoce dell’Altra Europa, ormai ridotto a mitissimi consigli (e che pare proprio condannato a non riprendersi mai più dallo choc subito), oggi rimangono in campo solo due estremismi contrapposti: gli euro-conservatori (ossia l’alleanza di svariate sfumature dello stesso privilegio, arroccate in una sempre meno difendibile conservazione dell’esistente) e gli euro-fobici, che intruppano tanto i demagoghi (ossia i piromani, che trasformano in materiale altamente infiammabile un micidiale cocktail dilagante di risentimenti e paure da impotenza; creato dalla nuova migrazione di popoli in atto), quanto gli apprendisti politici, rappresentanti di un diffuso senso di indignazione che molto spesso brancola nel buio; sempre alla ricerca di un bersaglio che si stenta a trovare, per carenza di adeguate categorie analitiche razionali.

Alla luce di recenti battibecchi con due posizioni europee dominanti su tre (Berlino e Bruxelles, facendo ben attenzione a non pestare i piedi a “quello di Francoforte”: Mario Draghi; già Goldman Sachs, la banca d’affari che della crisi greca fece carne di porco), il nostro golden boy parrebbe aspirare a incarnare una sorta di Terza Via, progressista e socialdemocratica, in alternativa alle due posizioni reazionarie di cui si diceva. Insomma, tra l’Arno e il Tevere con Denis Verdini (e magri – sottobanco – Silvio Berlusconi), per poi farsi accompagnare sulle rive dell’Ill a Strasburgo dall’ombra di Altiero Spinelli (e che a Ventotene ci fosse anche il fiorentino Ernesto Rossi; beh, il suo ghost writer Filippo Sensi si era dimenticato di comunicarglielo). Un disegno politico double face (tipo le terribili cravatte bifronti esibite dal giovanotto nelle occasioni ufficiali): il partito della Nazione, centrista e acchiappatutto, che si rivela un transformer da cartone animato; ri-assemblandosi improvvisamente come entità di sinistra classica.

Strani movimenti, dietro i quali si celano indubbiamente ben altri intenti. Innanzitutto – conoscendo ormai l’elemento, in campagna elettorale permanente – gioca un peso decisivo la corsa ad accaparrare voti, vuoi provando (velleitariamente?) a intercettare consensi nel campo di Matteo Salvini, vuoi tentando di depistare l’insofferenza crescente verso un governo chiacchierone e faccendiere con il classico richiamo della sirena nazionalistica. Cui la stampa nazionale è stata subito pronta a fare da grancassa. Compresa la Repubblica, dove il cambio nella direzione del giornale con una persona così disomogenea rispetto alla linea e al milieu quale Calabresi, si spiega forse con l’interesse dell’editore a una linea più filo-governativa, funzionale a risolvere qualche “sofferenza” del suo impero industriale.

Senza con questo trascurare che uno come Renzi è geneticamente contrario al consolidarsi di trend sopranazionali europei, che potrebbero minacciare la dimensione nazionale in cui radica il proprio potere personale. Insomma, l’unificazione europea non deve oltrepassare la condizione di “concerto tra governi statali”. Alla faccia di Ventotene, del cui sogno il nostro giovanotto è uno dei tanti piccoli mostri che lo insidiano; generati dal sonno della ragione.

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