Dopo la separazione da Fiat Chrysler, a cui ha pagato un ricco dividendo, Ferrari a fine 2015 ha accumulato un indebitamento netto di 1,938 miliardi di euro. Contro i 566 milioni di cassa di un anno prima. E la notizia, insieme alla previsione che il debito nel 2016 resterà a quota 1,96 miliardi, non è piaciuta al mercato che ha punito il titolo con un crollo del 9,53%.

Il Cavallino rampante, che è quotato a New York dallo scorso ottobre e ha debuttato anche a Piazza Affari il 4 gennaio, ha chiuso il suo ultimo esercizio prima dello scorporo dalla casa madre con un utile netto di 290 milioni di euro, in aumento del 9% su base annua, e ricavi a 2,85 miliardi, in aumento di 92 milioni. A cambi costanti, tuttavia, gli introiti sono diminuiti del 3%. Il progresso dei ricavi da veicoli e parti di ricambio è stato infatti parzialmente compensato da un calo sui motori.

Le prospettive per l’anno in corso sono poi inferiori alle attese. Nel 2016 l’azienda presieduta da Sergio Marchionne prevede infatti ricavi netti oltre i 2,9 miliardi e un margine operativo lordo “aggiustato” oltre i 770 milioni, grazie alla consegna di 7.900 vetture incluse le supercar. L’indebitamento netto a fine anno dovrebbe essere inferiore ai 1,95 miliardi di euro, inclusa la distribuzione della cedola agli azionisti pari a 0,46 euro per azione ordinaria.

Le auto consegnate nel 2015 sono state 7.664, il 6% in più rispetto al 2014. Se le vendite in Europa, Medio Oriente e Africa, Americhe e Asia hanno registrato stando al comunicato di Maranello “una solida crescita su base annua”, pari rispettivamente al 2%, al 7% e al 26%, nell’area che comprende Cina, Macao e Taiwan le Rosse hanno invece subito una contrazione del 10% su base annua, con un’inversione di tendenza nel quarto trimestre (+7%) grazie al lancio del modello 488 Gtb.

 

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