Il clan dei Casalesi diventa “il clan dei Caponesi”. Il suo fondatore Antonio Bardellino, “Antonio Porcellino”. Il boss Francesco Schiavone detto Sandokan, Francesco “Liberone detto la Perla di Labuan”. Michele Zagaria è “Bagaria”. La città di Marcianise è “Puccianise”. Casapesenna è “Casapennata”. Nomi falsi, volutamente distorti e in qualche caso sbeffeggiati, per dissacrare e denigrare la camorra pacchiana e miserabile che ha messo in scacco la provincia casertana. Nomi falsi che però descrivono fatti veri, precisi e puntuali, vicende che hanno riempito la cronaca giudiziaria. Notizie e pensieri che danno voce scritta alla forza dirompente delle centinaia di immagini scattate da Nicola Baldieri (guarda la gallery): nei villoni dalle architetture discutibili sottratti ai boss, nei bunker dove i capiclan si rintanavano come topi, nelle terre devastate dall’inquinamento prodotto dallo smaltimento scellerato dei rifiuti, sul quale i ‘Caponesi” hanno lucrato.

maresca_male_capitale-300In ‘Male Capitale’ (Giapeto editore, 18 euro) Catello Maresca (nella foto), pm della Dda di Napoli che indaga da quasi dieci anni il clan dei Casalesi e ne conosce a menadito le dinamiche criminali e le sue collusioni con la politica e l’imprenditoria, ne divulga la storia ribaltando lo schema narrativo di ‘L’Ultimo Bunker’. Quattro fa con questo libro Maresca ha descritto con minuzia di particolari e dettagli sconosciuti le fasi investigative della cattura di Zagaria, utilizzando un linguaggio a metà tra la cronaca giornalistica e il romanzo. Stavolta il magistrato si lancia in un mix inedito di realtà e fantasia. Lo fa per rendere avvincente il racconto al figlio di 12 anni, rispondendo alle curiosità sul lavoro del padre e sui rischi che comporta. “Avevo trovato il modo di appassionare il mio pubblico – spiega – lo vedevo concentrato e attento come davanti a un bel film di azione o di avventura”.

L’escamotage rende il racconto fluido e a tratti divertente, aggiunge un carico di ironia a fatti sui quali purtroppo c’è poco da scherzare. Ma quella di Maresca risulta una scelta convincente. Alleggerendo il peso del racconto con lo strumento della parodia, il pm-scrittore mostra la mafia campana per quello che è: inganno e mistificazione, potere costruito su simboli fallaci, su un lusso volgare e falso, simbolo di una grandezza inesistente e inutile. Pronta a crollare davanti all’avanzare delle indagini, agli arresti, ai sequestri patrimoniali. Lo Stato si riprende le armi, i soldi e le ville dei “Caponesi”. E ne stana i boss dai rifugi, bunker ipertecnologici dotati di tutti i confort. Purtroppo resta una scia di ‘Male’: aziende camorriste distrutte e abbandonate, che non si riesce a far ripartire; immobili devastati e vandalizzati per vendetta; campagne agricole rese nere e improduttive dai roghi tossici e dai rifiuti abbandonati. Il “Male Capitale”, frutto della violenza che produce povertà e sopraffazione, in antitesi al “bene capitale” della teoria economica, quel bene che produce altro bene, altra ricchezza.

Maresca accenna al germe di una polemica che ha aperto, suo malgrado, con Libera, sulla gestione dei beni sottratti al clan. “La legge sui beni confiscati – scrive – non funziona”. E le foto dei tanti ruderi sono lì a dimostrarlo. La chiosa però è un messaggio di speranza, affidata alle decine di foto dei luoghi dove lo Stato ha vinto fino in fondo. Ecco in rassegna le ville dei boss rimesse a nuovo e affidate a coop sociali che ne hanno ricavato ristoranti di prodotti tipici, centri antiviolenza sulle donne, luoghi di risocializzazione. La dottoressa Teresa Mallocca, figura centrale del libro, finalmente può dirsi soddisfatta. Anche lei è un nome finto, però: è l’anagramma di Catello Maresca.

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