Eugenio Barba, il fondatore dell’Odin Teatret, rappresenta una delle più alte voci viventi della ricerca teatrale. Considerato tra i maestri del Novecento, il regista pugliese non si è limitato ad allestire spettacoli dalla forte personalità autoriale, ma ha elaborato una vera e propria filosofia del Teatro, espressa non solo nell’immediato dell’azione in scena, ma anche in numerosi libri in cui illustra la sua poetica in una prosa ardente di metafore visionarie (ricordiamo Bruciare la Casa, ed. Ubulibri).

Conterraneo di Carmelo Bene (per il quale ha sempre nutrito rispetto), Barba ha intrapreso una via da lui diversa nella riflessione sul teatro, declinando il comune insegnamento di Antonin Artaud in una dimensione collettiva probabilmente più affine alla mistica ribelle del Living Theatre di Julian Beck.

Ora è finalmente nelle sale Il paese dove gli alberi volano, film documentario di Jacopo Quadri (già autore di un progetto analogo su Luca Ronconi, La Scuola D’Estate) e Davide Barletti, evento speciale nelle giornate degli Autori dell’ultimo festival di Venezia. Il film (realizzato con il sostegno dell’Apulia Film Commission in collaborazione con Sky Arte e distribuito in Italia da Wanted Cinema) racconta, attraverso splendide immagini, i festeggiamenti per il 50°anniversario dell’Odin Teatret durante il Festival di Holstebro, la cittadina danese che ospita la compagnia teatrale da metà anni ‘60.

È l’occasione per esplorare, guidati dalla viva voce del protagonista e dei suoi collaboratori, l’avventuroso percorso creativo di Barba, un artista in grado di restituire al teatro il valore primordiale di esperienza universale, al di là delle differenze etniche e culturali. L’Odin, infatti, è un gioioso vortice di molteplici influenze, in cui riti shivaitici si uniscono a danze africane e il rigore del balletto classico occidentale non stride con l’esuberanza colorata di parate circensi. Barba non soltanto ha messo in piedi una delle compagnie teatrali più longeve d’Europa, ma ha dato corpo a un’utopia vivente, in cui uomini e donne da tutto il mondo convivono serenamente grazie all’incontro comune nell’arte.

Ma, chiariamo, c’è ben poca retorica “fricchettona” nel discorso teatrale di Barba: disciplina, esercizio, sacrificio e dedizione sono le parole d’ordine per giungere alla liberazione nella pura creatività. Un esemplare professionismo risiede in ciascuno dei membri della comunità artistica che ormai da anni è stabile a Holstebro.

Il paese dove gli alberi volano riesce a cogliere questo duplice aspetto dell’esperienza dell’Odin Teatret: la festa e l’introspezione, la ricerca e il silenzio, l’urlo e la riflessione. Una dialettica costante ed aperta alla magia dell’irrazionale, la cui scintilla genera lampi di bellezza altamente rivelatrice. Una ricerca inquieta capace di restituire al teatro il valore, oseremmo dire sacrale, di laboratorio esistenziale.

Un ruolo eterno, dunque sempre attuale. Perché, come ci disse Barba, nel testo citato all’inizio: “Sono sicuro che ci saranno sempre delle persone – poche o tante dipende dalle onde della Storia – che praticheranno il teatro come una sorta di guerriglia incruenta, di clandestinità a cielo aperto o di preghiera miscredente”.

Articolo Precedente

Giorno della Memoria, l’allarme dagli Usa su Fossoli, l’anticamera di Auschwitz: “Troppa incuria, è a rischio”

next
Articolo Successivo

‘Sdisdorè’, la lingua di Testori a cavallo tra devozione e provocazione

next