Tunisia 14 675

La prima cosa a cui molti hanno pensato quando si è saputo delle rivolte in Tunisia è stata la possibilità che nella situazione di forte disagio che si era manifestato in quel paese, l’Isis avrebbe potuto approfittare per radicalizzare lo scontro e per guadagnare terreno. Tale preoccupazione non era infondata per diversi motivi.

Dalla Tunisia sono partiti migliaia di giovani per fare il jihad in Siria ed in Iraq al soldo del califfo Al-Bagdadi. Il 2015 ha registrato una serie di attacchi: il 18 marzo al museo del Bardo, attentato che ha procurato la morte di 22 persone; il 26 giugno a Port El Kantoui, vicino a Sousse, che ha registrato la morte di 38 turisti e infine l’attentato del 24 novembre alla camionetta che trasportava la guardia presidenziale tunisina che ha fatto 12 morti più quella del kamikaze.

La base da cui sono partiti tutti questi atti terroristici per dichiarazione esplicita delle forze di polizia è la Libia e i terroristi si sono allenati nei campi libici sotto il controllo degli uomini del Califfo. Su questa situazione di grande instabilità politica, sociale ed economica, la fonte di reddito derivante dal turismo è stata fortemente colpita, si è aperta una falla di notevole proporzione che deve spingere il governo tunisino, e direi anche l’Europa ad intervenire per non compromettere la situazione.

La settimana scorsa, infatti, è morto un giovane, Rida Yahyoui, a Kasserine, fulminato. Per protestare contro la cancellazione del suo nome dalla lista degli assunti ad un posto fisso era salito su un palo dell’elettricità ed è rimasto fulminato. Come era successo nel 2011 a seguito della morte di Mohammed Bouazizi i giovani provenienti da diverse città del sud della Tunisia erano scesi per strada per protestare contro il governo con il risultato della cacciata del presidente tiranno Ben Ali. La protesta di questi giorni sembra avere una stessa connotazione se consideriamo le parole d’ordine scandite nei cortei che facevano riferimento al lavoro e alla dignità. Nei cinque anni trascorsi dall’inizio della rivoluzione, povertà e disoccupazione sono aumentati.

E’ mancata da parte dello stato una chiara indicazione sul percorso che si intendeva seguire per far nascere una cultura d’impresa e mostrare che quella parte della Tunisia del sud, sfavorita economicamente, era una preoccupazione del governo. Il sindacato, l’Ugtt, ( Unione generale del lavoro tunisina), premio nobel per la pace, che sarà ospite con il suo segretario generale, della Fondazione Banco di Sardegna il 29 e 30 gennaio, per un incontro rivolto a trovare occasioni di investimento nei settori della cultura e della produttività, ha concluso recentemente un accordo con la Confindustria tunisina per il rinnovo contrattuale con aumenti salariali nei diversi settori. Il sindacato svolge un ruolo di primo piano perché le conquiste della rivoluzione del 2011 non vadano vanificate. Le manifestazioni di Kasserine e quelle che si sono svolte in altre città hanno la fisionomia di una presa di coscienza netta perché le acquisizioni della rivoluzione non siano snaturate e al tempo stesso un forte impegno perché i problemi della disoccupazione siano risolti. In questo senso la lettura degli avvenimenti sembra farci intravedere uno scenario di rivoluzione permanente.

Le masse dei disoccupati, i poveri delle regioni interne non sembrano disposte a rinunciare alle parole d’ordine del 2011 quando nelle manifestazioni si invocava la partenza di Ben Ali, la democrazia, il lavoro e il rispetto della dignità umana. Nonostante la preoccupazione per possibili infiltrazione di elementi legati al jihadismo, i cortei e gli scontri con la polizia sembrano connotarsi per una rivendicazione popolare lontana da dispute ideologiche sul carattere più o meno islamico dello Stato. Rispetto a tutto ciò che sta accadendo oggi in Tunisia casa intende fare l’Europa? La Francia sembra si sia mossa stanziando un miliardo di euro per venire incontro alla situazione economica della Tunisia. Ma non basta. Sin’ora l’Ue è stata silente e non ha saputo accompagnare la rivoluzione del 2011. Oggi il gioco si è fatto più complesso. Non solo le conquiste della rivoluzione vanno protette, ma va battuta qualsiasi tentativo di infiltrazione dell’Isis.

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