Non solo in Italia ci sono armi nucleari, ma il Ministero della Difesa investirà molti milioni di euro per ammodernare i depositi corazzati che le custodiscono nella base aerea di Ghedi, in provincia di Brescia. La notizia è ufficiale, tanto ufficiale che il Segretariato generale della Difesa ha firmato il contratto n. 636 in data 12 novembre 2014 del valore di oltre 200 mila euro per la sola progettazione delle opere di ammodernamento del sistema WS3 (sta per Weapon Storage and Security System). Le informazioni su questo contratto, classificato “riservatissimo”, sono riportate nel documento della Corte dei conti sulla gestione dei contratti pubblici segretati del 2014, la “Deliberazione 18 novembre 2015, n. 11/2015/G”. Il contratto riguarda la “progettazione definitiva completa di sondaggi geognostici e rilievo plano-altimetrico in relazione agli interventi di “realizzazione di sistema Wass” e “Upgrade WS3 security system” a Ghedi (Brescia)”.

Come è evidente dal titolo del capitolo dedicato all’argomento, il documento si riferisce ai soli oneri di progettazione che ammontano a “207.256,36 euro, oltre al contributo Inarcassa del 4 per cento pari a 8.290,25 euro, per un totale di 215.546,61 euro” come puntigliosamente annota il documento della magistratura contabile. Il che fa pensare, come suggerisce in una interrogazione la deputata pentastellata Tatiana Basilio, “che il costo delle opere in questione ammonti a molti milioni di euro, presumibilmente a carico del bilancio della Difesa italiano”.

La cosa è clamorosa perché da sessanta anni, governo dopo governo, è stata negata persino l’esistenza delle bombe atomiche in Italia. E invece non solo le abbiamo, ma i documenti ufficiali certificano che spendiamo soldi per tenerle nelle nostre basi aeree. Sia chiaro: era il famoso segreto di Pulcinella, ma la litania dei dinieghi ufficiali è sempre stata unanime e monocorde. Sono le famose armi a doppia chiave, cioè le bombe sono americane ma gli aerei che le porteranno sugli obiettivi nemici sono italiani. In questo caso i Tornado del 6° Stormo “Alfredo Fusco” di Ghedi. Dove tra qualche tempo arriveranno anche le nuovissime bombe nucleari B61-12 e forse proprio per questo si fanno i lavori.

Che il Weapon Storage and Security System WS3 sia un sistema di stoccaggio e protezione delle armi nucleari ce lo spiega senza giri di parole la Aviano Air Base Instruction 21-204 del 24 ottobre 2006 (Aviano è l’altra base italiana dove si trovano i WS3, ma questi sono usati dagli statunitensi). Un WS3 si trova all’interno di ciascuno dei ricoveri corazzati che ospitano gli aerei destinati all’attacco nucleare. Si tratta di un deposito sotterraneo che può contenere fino a quattro bombe nucleari. In caso di impiego, gli ordigni emergono dal ricovero blindato sotterraneo (vault) e sono agganciate ai piloni alari degli aerei. I Tornado, nel caso italiano, e fra qualche anno gli F-35.

Ma quanto ci costerà questo ammodernamento che non esiste? Certo, se uno spende oltre duecentomila euro solo per fare un po’ di disegni, per realizzare concretamente i lavori spenderà diversi milioni. E non pochi. A capire di cosa e di quanto stiamo parlando ci aiuta il governo della Turchia, incidentalmente nostro alleato, massacratore di curdi e ambiguo amico di Isis/Daesh. I turchi, a Incirlik, una base a circa cento chilometri dalle linee di combattimento siriane, ospitano anche loro alcuni depositi WS3 del tutto analoghi a quelli di Ghedi. Nel 2013 Ankara ha avviato un ammodernamento del sistema. La commessa, affidata alla società Aselsan, ha un valore di 79,8 milioni di lire turche (28,6 milioni di euro al cambio dell’epoca).

Considerando che, secondo il rapporto U.S. Nuclear Weapons in Europe di Hans M. Kristensen, Incirlik dovrebbe ospitare 25 sistemi WS3 e Ghedi undici e facendo le opportune proporzioni, stiamo parlando di una spesa per l’Italia che potrebbe aggirarsi sui 15 milioni di euro. Bruscolini, se consideriamo che questi depositi nucleari non esistono.

Il sito dell’impresa turca Kuanta, che materialmente sta eseguendo i lavori a Incirlik, ci dettaglia anche con notevole precisione in che cosa consistano. Possiamo dunque facilmente ritenere che le opere da realizzare a Ghedi siano dello stesso tenore, visto che si tratta di installazioni NATO standard praticamente identiche nelle due basi, al di là delle dimensioni. Magari qualcuno potrebbe far vedere i disegni dei turchi alla Pinotti, così la prossima volta che va in Parlamento per dire “la tipologia e la qualità delle informazioni rilasciabili sugli armamenti nucleari è quindi una decisione politica collettiva ed unanime degli alleati, cui nessun Paese può sottrarsi, pena la violazione del patto di alleanza liberamente sottoscritto e del vincolo di riservatezza che da esso ne discende” (dichiarazioni del 17 dicembre 2014 rispondendo a un’interrogazione del deputato Rizzetto), le si potranno fare delle domande su Incirlik poiché Ghedi non esiste.

Comunque, per aiutare la memoria selettiva della ministra, le potremmo consigliare la lettura alla sera di un curioso libriccino intitolato Air Force Instruction 21-200. Lettura forse un po’ impervia, ma istruttiva, dalla quale si può apprendere a pagina 16 cosa fanno i MUNSS (Munitions Support Squadron), di cui ne esistono solo quattro al mondo, uno dei quali si trova, guarda caso,  a Ghedi. Dice il noioso manualetto che il MUNSS è “responsible for receipt, storage, maintenance, and control of United States (US) nuclear weapons in support of the North Atlantic Treaty Organization (NATO) and its strike mission”. Dove la parola “nuclear” non ha bisogno di traduzione. Evidentemente la Pinotti penserà che si tratti di materiale COSMIC/ATOMAL/TOP SECRET e invece basta cercare su Internet. Questi yankee non hanno alcun rispetto per i poveri ministri italiani che da cinquant’anni fanno la parte di quelli che non sanno.

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