Mentre lo Zalone di “Quo Vado” va completando la razzia di incassi nei botteghini italiani, quello di “Sole a Catinelle“, che aveva raccolto non meno spettatori e contanti nel 2013, si gode il passaggio in tv, su Canale 5, essendo ormai passato il paio d’anni che è obbligo commerciale lasciar correre fra lo schermo del cinema e quello della televisione per non distogliere spettatori dalla sala buia e far godere il loro momento alla pay tv e ai dvd.

Gli spettatori per “Sole a Catinelle” sono stati 6,5 milioni, tanti, ma niente a paragone dei nove milioni che accolsero, sempre su Canale 5, il 4 marzo 2014, “La Grande Bellezza” di Sorrentino, lanciata dall’Oscar appena conquistato e immediatamente offerta sulla tv free proprio per sfruttare la contingenza di quell’effetto promozionale a favore di un film altrimenti difficile per la prima serata televisiva. Il dosaggio dei diversi segmenti di pubblico fra le platee auditel dei due film per molti versi si assomiglia: è invariata da un titolo all’altro la ripartizione fra maschi e femmine; le classi di età più anziane (over 54) segnano una minima propensione per il film di Sorrentino; le licenze elementari e medie si dedicano con uguale propensione all’uno e all’altro.

Ma ci sono anche le differenze, e marcatissime: fra i giovani dai 20 ai 24 anni, perché qui le ragazze si sono letteralmente buttate su Jep Gambardella, mentre i coetanei maschi si sono precipitati su Checco; i titoli di studio più elevati (diploma e laurea) preferiscono “La Grande Bellezza”; “Sole a Catinelle” svetta nel Sud non napoletano, e cioè in Puglia, Calabria, oltre che nelle isole. Al tirare delle somme e grazie all’occasione del confronto, sullo stesso canale, con “La Grande Bellezza”, un film reso “generalista” dalla irripetibile occasione della congiunzione con l’Oscar verrebbe da pensare che abbia ragione chi afferma che a determinare la dimensione del pubblico, tanto al botteghino quanto all’auditel, sia il traino, cioè la mobilitazione di una parte specifica del pubblico che riesce a portare con sé coniugi, fidanzate e genitori. E parrebbe che la platea si ingigantisca quando a trainarla siano i giovani, verso film per essi irrinunciabili, ma almeno sopportabili anche da parte delle altre generazioni. Un po’ come accade quando nonni e genitori portano i più piccoli a vedere il cartone animato.

Insomma, se tanto ci da tanto, è la saldatura generazionale che fa grande il pubblico, ma la saldatura si crea solo sotto la spinta degli spettatori più giovani, giacché non riusciamo a pensare che l’effetto trascinamento possa crearsi a partire dagli anziani (non per caso “Youth“, il successivo film di Sorrentino, ha raccolti in sala numeri contenuti e siamo curiosi di vedere cosa accadrà quando passerà in tv. In buona sostanza pare proprio che dalla comprensione dei più giovani (del loro patrimonio linguistico e simbolico) debba prendere le mosse ogni tentativo di “generalismo”, cioè di “grande” successo, cinematografico o televisivo. Come dire che la generazione più martellata dalla crisi, da anni di precariato e da tutto quel che sappiamo, tiene comunque saldo nelle sue mani il telecomando del consumo audiovisivo.

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