“Tana libera tutti”. Traffico di rifiuti, abusi edilizi, incendi boschivi: il governo rischia di spianare la strada agli ecoreati, spiegano le associazioni ambientaliste. Un decreto attuativo della riforma della pubblica amministrazione riguarderà il Corpo forestale dello Stato. E sancirà il suo accorpamento all’interno dell’arma dei carabinieri per evitare sovrapposizioni e sprechi. Il corpo conta circa 8.500 dipendenti in tutta Italia, specializzati nella tutela del patrimonio naturale e paesaggistico, nella prevenzione e repressione dei reati in materia ambientale e agroalimentare. Questi operatori non vanno confusi con gli operai forestali, oltre 10mila in Calabria e più di 28mila in Sicilia, che non hanno la professionalità degli agenti del Corpo. E che non saranno toccati in alcun modo dalla riforma Madia, pur richiedendo alle casse pubbliche uno sforzo che vale centinaia di milioni di euro ogni anno.

Invece la mannaia si abbatterà sugli specialisti della lotta agli ecoreati: una soluzione non gradita alle associazioni che si battono per la tutela dell’ambiente, come Legambiente e Greenpeace, ma anche a quanti si occupano di lotta al crimine organizzato, come il procuratore nazionale antimafia Franco Roberti e l’associazione Libera. “La soppressione del Corpo forestale può apparire come un ‘tana libera tutti’ – spiega Antonio Nicoletti, responsabile aree protette di Legambiente – In che modo si passa da un corpo civile, come quello forestale, a un corpo militare? Il rischio è che molti decidano di proseguire la loro carriera altrove, in un altro comparto della pubblica amministrazione. E il corpo perderebbe pezzi, mentre gli agenti forestali sono già sottodimensionati. In questo senso, perderebbe forza la tutela ambientale”.

E rilancia: “Noi da sempre chiediamo che nasca una polizia ambientale, come una direzione antimafia sugli ecoreati, un’organizzazione delle polizie per lavorare in maniera congiunta”. Sulla stessa linea le parole di Giuseppe Onufrio, direttore esecutivo di Greenpeace Italia. “Il nostro timore è che l’accorpamento porti a un abbassamento della guardia sui reati ambientali – spiega l’attivista – La diluizione del Corpo forestale nei carabinieri fa perdere una specificità. E se lo Stato reagisce di meno, non è certo un incentivo a ridurre i comportamenti illegali“. A chiudere il cerchio ci pensa Gaetano Pascale, presidente di Slow Food Italia: “Non capisco l’utilità di questo accorpamento, non credo che possa essere funzionale a un risparmio economico. E anche se fosse, un risparmio a spese dell’ambiente non sarebbe effettivo, perché poi spenderemmo di più a spegnere incendi o procedere a bonifiche”.

A rafforzare i timori delle associazioni ci sono i numeri degli ecoreati in Italia. Come spiegato dall’ultimo rapporto Ecomafie, a cura di Legambiente, nel 2014 sono stati accertati 29.293 reati in campo ambientale, circa 80 al giorno, poco meno di 4 ogni ora, in leggero aumento rispetto all’anno prima. Questo genere di crimini ha fruttato agli ecodelinquenti un bottino pari a 22 miliardi di euro, 7 in più rispetto all’anno precedente.

Oltre alle associazioni ambientaliste, anche chi combatte la mafia si dimostra preoccupato dalla scomparsa del Corpo forestale. In un’audizione al Senato, nel novembre 2014, il procuratore nazionale antimafia Franco Roberti ha spiegato che “noi siamo contrarissimi alla soppressione del Corpo forestale dello Stato, perché sarebbe come togliere all’autorità giudiziaria l’unico organismo investigativo in materia ambientale che dispone delle conoscenze, delle esperienze, del know-how e anche dei mezzi per poter smascherare i crimini ambientali”. E sullo specifico tema dell’accorpamento, il procuratore ha aggiunto che l’operazione “potrebbe rischiare di stemperare di molto il patrimonio di conoscenze e di esperienze e, quindi, la capacità investigativa di questo Corpo”. E ancora più esplicito è stato don Luigi Ciotti, presidente dell’associazione Libera: “Perdere il Corpo forestale dello Stato significherebbe indebolire la forza dello Stato contro le mafie”. Infine don Maurizio Patriciello, in prima linea contro la camorra nella Terra dei fuochi, ha chiesto al premier Matteo Renzi di non sciogliere il Corpo forestale dello Stato perché “togliercelo adesso significherebbe tagliarci le gambe”. Una decisione del genere, ha spiegato il sacerdote, “sarebbe una tragedia in questi anni, nella Terra dei fuochi, tutto quello che è stato possibile fare lo abbiamo fatto grazie alla Forestale”.

Ma i compiti del Corpo forestale non si esauriscono con la prevenzione e la repressione dei reati. C’è anche la difesa della biodiversità. Dall’isola di Montecristo al Circeo, dall’Aspromonte alla Majella, in Italia sono 130 le riserve naturali sotto la tutela degli Uffici territoriali per la biodiversità (Utb). Qui lavorano 1.500 operai forestali, anch’essi parte del corpo, che si prendono cura di flora e fauna in aree particolarmente delicate. L’accorpamento ai carabinieri ha messo in allarme anche questi lavoratori, che il 13 gennaio hanno manifestato davanti al ministero delle Politiche agricole, con una delegazione poi ricevuta al dicastero. “Il nostro timore era che lo Stato volesse cedere queste aree alle Regioni – spiega Giovanni Mininni, segretario nazionale Flai Cgil – Ci hanno assicurato che resteranno allo Stato, ma se ne occuperanno i carabinieri. Il ministero ci ha anche garantito che verrà assicurata la specificità di queste zone. Ma per capire come si farà, dobbiamo aspettare il testo del decreto”.

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