Finalmente sono atterrati a Fiumicino, via Bruxelles. Nell’abbraccio delle loro mamme italiane altri 10 bimbi congolesi hanno lasciato per sempre la miseria degli orfanotrofi di Kinshasa, come quelli arrivati un anno e mezzo fa su volo di Stato insieme ad una raggiante Maria Elena Boschi. Stavolta, però, non c’è neppure una telecamera e forse non è un caso: questo volo porta anche un carico di interrogativi su come il nostro Paese operi nel delicato settore delle adozioni internazionali. Modalità che mercoledì prossimo saranno oggetto di una protesta senza precedenti in questo ambito: alcuni genitori ancora in attesa si incateneranno ai cancelli di Palazzo Chigi per chiedere al governo d’intervenire, sia sul fronte diplomatico che sulla Commissione adozioni internazionali (Cai), l’organismo in seno alla stessa Presidenza del Consiglio cui sono demandate le cure di questa complessa materia che si è attirato addosso accuse di immobilismo e scarsa trasparenza. Al punto che si rincorrono voci di una prossima sostituzione dei suoi vertici.

Partiamo dalla fine. “I 10 bambini che aspettavamo sono arrivati” si legge sul sito dell’ associazione NOVA e la notizia è confermata dal presidente Massimo Vaggi: “Dal settembre 2013 fino a pochi giorni fa sono rimasti in una struttura che abbiamo affittato e allestito per loro, assumendo personale qualificato e garantendo contatti regolari con i genitori”. Ora sono atterrati sì, ma con due mesi di ritardo. I piccoli passeggeri facevano parte di un gruppo di 69 orfani ai quali, fin dal 2 novembre scorso, le autorità congolesi avevano concesso il nullaosta a lasciare il Paese in deroga al blocco in corso dal 2013. Il destino però li ha subito separati in due gruppi: quelli che hanno lasciato presto il Congo per ricongiungersi alle nuove famiglie nel resto del mondo e quelli diretti in Italia, rimasti invece in orfanotrofio 73 giorni in più, con grande sofferenza dei genitori italiani rispetto alle coppie di Canada, Olanda, Canada, Francia e Belgio.

Perché questo ritardo? Sul punto c’è stata la consegna del silenzio da parte della Cai e della presidente, l’ex parlamentare Pd Silvia della Monica. Tutt’ora nei corridoi di Palazzo Chigi serpeggia un forte imbarazzo, al punto che viene data ormai per imminente la sua sostituzione, forse già entro fine mese. Negli uffici ministeriali si tenta di fare quadrato intorno al vertice, sostenendo che “le complicazioni sono dovute al cambio in corsa delle regole di emissione dei passaporti congolesi”. “Il ritardo è stato del tutto inaspettato, questo è vero”, conferma il presidente di NOVA. “L’emissione dei passaporti per i bambini è ripresa solamente il 30 dicembre, dopo una sospensione che ha riguardato tutte le domande, in tutto il paese, dall’inizio dello stesso mese. Noi non abbiamo potuto fare altro che seguire la procedura ordinaria, ma fino al 24 novembre non è stato nemmeno accettato il deposito della nostra domanda di rilascio”. E tuttavia questo non spiega perché gli altri 59 bimbi, nel frattempo, siano potuti partire mentre quelli italiani siano stati gli ultimi a lasciare l’Africa. Ebbene, secondo documenti e testimonianze dirette raccolti dal fattoquotidiano.it il ritardo sarebbe dovuto in gran parte alle autorità italiane.

Pratiche incomplete, scatoloni in ritardo
Questo sostengono diversi legali ed esperti di diritto minorile incaricati da alcune coppie ed enti di capire cosa stesse accadendo nel paese africano, visto che in Italia nessuno dava risposte. Un memorandum datato 11 novembre 2015 firmato da un legale di Kinshasa ricostruisce la vicenda a partire dalla decisione della “speciale Commissione interministeriale” di sbloccare il ricongiungimento dei bimbi le cui procedure fossero già chiuse “previa verifica approfondita dei dossier”. Alle ambasciate dei paesi interessati, compresa l’Italia, vengono richieste le liste dei bambini per i quali non restava che rilasciare l’autorizzazione all’uscita dal Paese. “Una settimana dopo – si legge – tutte le ambasciate avevano inviato le liste al Ministero degli Esteri di Kinshasa” e una riunione della commissione aveva redatto una lista definitiva dei dossier per ogni Paese. Tutte “tranne l’Italia”, puntualizza il legale. “Anziché adeguarsi alle esigenze della commissione, la Cai aveva infatti inviato tramite corriere uno scatolone contente le sole copie delle sentenze di adozione al segretariato della commissione”. Cioè al destinatario sbagliato. Per giunta “i fascicoli erano incompleti ”. Il presidente della Commissione e il capo del servizio di Protezione del bambino presso il ministero congolese della Famiglia, Luyela Loyel Gauthier, fanno sapere che “i dossier italiani sarebbero stati trattati comunque per ultimi e che lo scatolone non sarebbe stato aperto a breve perché i documenti che conteneva erano incompleti”.

“Associazioni abbandonate a se stesse”
Solo il caso salva la situazione. Il rappresentante a Kinshasa di NOVA, uno degli enti con pratiche adottive in corso, viene a sapere del pasticcio e completa i fascicoli. “A fronte di una segnalazione urgente”, conferma Massimo Vaggi, “abbiamo depositato nel giro di poche ore tutti i documenti che erano in nostro possesso. Ritenevamo servisse a rendere più completi i dossier”. La commissione li accoglie e 10 pratiche vanno avanti mentre gli altri sei enti operanti in Congo sono tornati a mani vuote: le loro pratiche sono state integrate dalla Cai ma fuori tempo massimo. Dalla testimonianza del legale emerge anche il clima lasciato da questa vicenda: i membri della commissione congolese – si legge nella relazione – “sono scandalizzati nel constatare che le associazioni italiane sono abbandonate a loro stesse”, in un generale “ disinteresse dell’Italia rispetto a questa situazione, visto che da mesi nessuna autorità italiana ha svolto verifiche sui dossier dei bambini adottati dall’Italia”.

Una sensazione ben nota anche in Italia, dove alcuni genitori adottivi hanno più volte espresso disagio e rabbia perché la Cai non forniva notizie sulla vicenda. Più che evasive sarebbero state anche le “direttive” della Commissione italiana dal 2 novembre, data in cui diventa di dominio pubblico a quale ente appartengano i dossier dei bimbi: “Abbiamo ricevuto la comunicazione ufficiale della lista dei minori il 9 novembre e il 14 siamo stati convocati insieme ai genitori a Palazzo Chigi per una riunione nella quale ci sono state date le prime indicazioni”, dice Massimo Vaggi . Dodici giorni persi per nulla. E gli altri bambini, quelli che non sono arrivati? “Siamo felici per i primi dieci, ma la nostra preoccupazione è per quelli che ancora devono partire”, risponde Vaggi, ricordando che ci sono altre 120 famiglie in attesa che i figli partano dal Congo: “I bambini devono uscire dagli istituti, devono essere sostenuti e protetti, e devono essere garantiti contatti regolari tra loro e i genitori. Questo chiediamo al Governo: in fondo – nella sostanza se non nella forma – sono già cittadini italiani, figli adottivi di coppie italiane. Lo afferma una sentenza definitiva di un tribunale congolese”. Una richiesta che sarà ribadita mercoledì da altri genitori in attesa, simbolicamente incatenati al Palazzo del governo.

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