Argentina-Macri

Com’era prevedibile, l’ondata di destra che sta scuotendo l’America Latina evoca i peggiori incubi del passato. Prendiamo ad esempio l’Argentina, Paese dove tale ondata ha avuto inizio con le elezioni del 22 novembre scorso che, sia pure di misura, hanno decretato la vittoria del Berlusconi delle Pampas, quel Macri che, a differenza dell’originale, non si è fatto da sé ma ha ereditato un impero industriale bell’e fatto dal paparino, intraprendente industriale di origini italiane arricchitosi durante la dittatura, periodo nel quale sono stati torturati, uccisi e fatti sparire oltre trentamila argentini, mentre altri hanno fatto fortuna. Una fortuna costruita anche su quei trentamila cadaveri, molti dei quali non sono stati neppure ritrovati.

Fra i ministri che Macri ha pensato bene di regalare agli argentini, con lo scopo dichiarato di alleggerirli dei troppi diritti accumulati durante le presidenze dei Kirchner, ministri in genere reclutati in seno al personale direttivo delle imprese multinazionali che sfruttano alla grande questo ed altri Paesi, c’è anche un tale Aranguren, nominato nientemeno che ministro dell’energia dopo essere stato manager della Shell. Una scelta che ha la sua logica, quella della privatizzazione totale delle istituzioni pubbliche da asservire completamente agli interessi delle aziende nel miglior spirito neoliberista.

Ebbene questo signore pare abbia una parente, tale Tamara, che non perde occasione per insultare, dal suo profilo Twitter, le trentamila e più  vittime della dittatura, e per inneggiare ai criminali genocidi in uniforme come Videla, Viola e Massera. Del resto in questo tipo di attività era stata anticipata, in modo solo leggermente meno rozzo, da personaggi come l'”intellettuale” macriano di riferimento Aguinis il quale, pochi giorni prima delle elezioni aveva proclamato la necessità di farla finita con i diritti umani, sostenendo che la presa del potere da parte dei militari genocidi nel 1976 aveva provocato “un grande sollievo” nel Paese e insultando a sua volta le eroiche Madri di Piazza di Maggio che hanno ottenuto la punizione dei colpevoli dopo anni e anni di lotte e dopo aver contato vittime della repressione anche tra le proprie fila. A parte le dichiarazioni e le chiacchiere, cominciano anche le liberazioni degli assassini.

Perché stupirsi del resto? La vocazione al genocidio parrebbe appartenere al patrimonio genetico della destra latinoamericana, anche di quella apparentemente più innocua e liberal. Spesso si accompagna al razzismo, il che è spiegabile in Paesi nati sulla base dell’oppressione più brutale nei confronti di indigeni, afrodiscendenti e altri settori popolari. Pensiamo ai desaparecidos cileni e argentini, all’immane massacro venezuelano del Caracazo (almeno tremila morti fatti dalle forze repressive del neoliberale Carlos Andres Perez) alle innumerevoli stragi di contadini ed indigeni di cui è costellata la storia della Colombia.

A tale invetarata propensione si uniscono ora considerazioni più pragmatiche legate alla difficile realtà economica e sociale del momento. Senza agitare le sciabole e drigrignare i denti, questo pensano alcuni esponenti delle destre, anche se quasi mai lo dicono, non sarà possibile far ingurgitare alle masse le “medicine” neoliberali. Alla “mano invisibile” del mercato si accompagna qualora necessario, cioe’ sempre, il randello ben visibile e pesante della repressione. Specie da queste parti, nel continente delle stragi tuttora impunite.

Certamente l’attuale ondata di destra in America Latina ha radice anche in errori imperdonabili dei governi progressisti, colpevoli di eccessi di moderatismo, inclini alla corruzione, incapaci di combattete in modo efficace le forme di vera e propria delinquenza, la criminalità più o meno organizzata e i sabotaggi economici. In questo senso le affermazioni delle destre hanno costituito, come affermato da Maduro, degli schiaffi salutari a governi spesso timidi e incapaci. O almeno speriamo che tali siano e che i governi e partiti in questione riescano ad apportare i necessari correttivi alla loro condotta, prendendo atto del dissenso di settori di ceto medio ma anche popolari che ne hanno determinato le recenti sconfitte.

Pare tuttavia improbabile che le parziali vittorie delle destre possano condurre all’abbandono delle notevoli conquiste effettuate dalle masse latinoamericane negli ultimi quindici anni e di questo dovrebbero essere consapevoli per prime le destre in questione. A meno di non ipotizzare, insieme allo smantellamento dello Stato sociale e dei diritti, un ritorno in grande stile degli assassini a lungo esecrati in tutto il pianeta. Tale ipotesi oggi sembra assurda, ma per scongiurarla definitivamente si rende necessaria la ripresa in tutto il continente delle mobilitazioni sociali e il rilancio dell’ideale bolivariano dell’integrazione oggi in evidente crisi.

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