Si rialza in piedi appena sente le gomme di due auto che gridano contro l’asfalto. Appoggia la Glock sulla poltrona accanto a lui, mentre passi pesanti salgono le scale. Passi che si avvicinano sempre di più. Rumori, voci. Alex continua a fissare il viso del suo amico, rigido, i lineamenti deformati dal dolore. Non riesce a distogliere lo sguardo. Nemmeno quando due uomini sono sulla soglia della stanza, e gridano alle sue spalle: “Polizia! Fermo!”. Alex si limita ad alzare le mani con un movimento lento. Subito dopo i due agenti gli afferrano le braccia e gliele abbassano, facendo scattare intorno ai suoi polsi un paio di manette.

Un thriller divertente, che porta continuamente il lettore su piste volutamente false, l’ultimo lavoro di Pierluigi Porazzi, Azrael (Marsilio Editori), sequel del suo fortunato esordio L’ombra del falco. Odio, violenza, abuso, follia sono gli ingredienti che compongono questo testo, Udine la cornice scelta per contenerli. La scrittura utilizzata è semplice, un linguaggio che può essere afferrato anche da lettori tutt’altro che forti, le scene cruente sono dosate con intelligenza così come l’alternarsi di parti dirette e indirette.

Continua a tenere gli occhi chiusi, anche quando lo sente alzarsi e rimettersi i vestiti. Anche quando sente la porta che si richiude, dopo che lui è uscito. Si morde le labbra e piange, cercando di fare meno rumore possibile. Dopo parecchi minuti rialza di nuovo la testa. Le lacrime le offuscano la vista. Non vuole neanche guardare il resto della stanza, ha lo sguardo fisso sul soffitto. Ma non può impedire alla telecamera di entrare nel suo campo visivo. Ha registrato tutto.

Il romanzo è una gigantesca caccia all’uomo, una corsa contro il tempo per fermare un enigmatico killer dai rituali macabri e contorti che richiamano quelli di un pericoloso assassino, Il Teschio, rinchiuso in un carcere di massima sicurezza. Con l’eco della crisi economica che sta incancrenendo tutto il vecchio settore produttivo della città, i contrasti nei quartieri della multietnicità che ribollono, i nuclei familiari ormai al collasso, il profiler Alex Nero e i suoi collaboratori dovranno cercare di mettere la parola Fine a questa terribile vicenda di morte.

Da bambino avevo paura del buio. All’inizio. Poi ho iniziato ad amarlo. Era la luce che mi spaventava. Perché al buio si può immaginare qualsiasi cosa. Ma la luce non puoi ingannarla. Ti butta in faccia quello che sei. Avevo paura del buio, finché ho visto cosa succede alla luce. Quando si apriva quella porta entrava una luce cattiva. Una luce che portava lacrime e vergogna. Lo sapeva. Anche mia madre sapeva quello che succedeva quando si apriva quella porta. Ma non ha mai voluto ammetterlo. Nemmeno quando gliel’ho chiesto per l’ultima volta, prima di premerle il cuscino sul viso. Nemmeno allora.

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