Il “vicino di blog” Nicolò Cafagna ci ha elencato, con la sua amara ironia, le frasi inopportune che subisce un disabile, dovute alla non richiesta compassione degli adulti e alla curiosità ingenua dei bambini. Scommetto che gli manca una terza categoria: l’interesse entusiastico del ricercatore. Provvedo subito.

A Genova una sala del Museo delle tecnologie per disabili visiviLe tecnologie moderne forniscono aiuti, impensabili fino a pochi anni fa, per i diversi tipi di handicap. Questa che ho appena scritto è la versione moderata, da mettere nei giornali e da dire a Uno Mattina; quella vera è che le disabilità costituiscono sfide tecnologiche da leccarsi i baffi. I problemi sono la manna del ricercatore, e se non ci sono problemi nelle disabilità, ditemi voi dove trovarli!

Ci sono studi di trasduzione acustica, di rigenerazione chimica, di aiuto alla mobilità per i ciechi, trasmissione di segnali nervosi ed esoscheletri per i paraplegici, terapia genica per i sordi, protesi robotiche per i mutilati, riconoscimento dei movimenti oculari per persone in locked-in, eccetera. Se pensate che i ricercatori compiano questi studi con un contegno pio e compunto, il volto atteggiato al mesto pensiero delle persone afflitte da tali tragedie, sbagliate di grosso.

La maggior parte dei ricercatori si esalta davanti a un problema come uno scalatore davanti a una parete difficile. Lo stesso succede, naturalmente, per altre ricerche d’interesse medico; però se mi occupo dell’analisi della forma di un melanoma ho a che fare con tante immagini e basta, anche se so che sono state fotografate su esseri umani; invece, se mi occupo di disabilità, prima o poi devo avere a che fare proprio con gli esseri umani in persona. Questo porta quasi inevitabilmente a delle gaffe terribili.

La prima magra la feci per telefono. Molti anni (anzi decenni) fa mi occupavo di un progetto di realtà virtuale per ciechi; telefonai a un’agenzia aggiornatissima sulla tecnologia corrente. Il colloquio fu pressappoco questo: “Buongiorno, sono un ricercatore dell’Università di Bologna; stiamo studiando un apparato fatto così e così; sapete se per caso esiste già?” “No, che io sappia non esiste” “Meno male, grazie, magnifico!” “Veramente sarebbe magnifico se esistesse già…”. Mi sentii come il Generale Schmuck in Dottor Stranamore.

Nei primi contatti con i volontari per gli esperimenti ero imbarazzatissimo; io, non loro: anzi, da cavie divennero subito collaboratori preziosi. Pian piano persi ogni remora. Mi disinibii del tutto a una fiera tecnologica in cui presentavamo il nostro aggeggio; al nostro stand vennero due ingegneri paraplegici che lavoravano nella Ricerca e Sviluppo di un’azienda elettronica. Dopo un bello scambio tecnico confidai il mio disagio nel trovarmi esaltato, come un bambino col giocattolo nuovo, di fronte a un dramma come la perdita della vista.

Loro sgombrarono subito il campo: che buttassi via ogni imbarazzo! È naturale che ci si entusiasmi davanti a un problema scientifico o tecnologico, altrimenti come si fa a lavorare bene! Poi mi dissero qualcosa che mi colpì molto: una volta il grande motore della ricerca avanzata era il progetto di armi sempre più sofisticate; oggi le disabilità possono prendere il posto dell’industria bellica come stimolo alla fantasia dei ricercatori. Molto meglio esaltarsi pensando a come sopperire ai problemi di un cieco che non studiando come falciare le gambe con una mina.

Così, nei contatti con i volontari mi trovai a fare discorsi come “Ah, Claudia, dunque tu non hai mai visto i colori. Interessante, quindi con Bruno posso cercare di suscitarne il ricordo, mentre con te devo studiare una sostituzione completa; fantastico!”. Il bello è che Claudia e Bruno si appassionavano come me. Esperienza stupenda.

Visto il caratterino, non lo chiedo a Nicolò, ma chissà come reagirebbe se qualcuno trovasse appassionante la sua “Francesina“…

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