Caseifici svuotati nella notte, forme marchiate a fuoco fatte sparire in meno di un’ora e portate via a bordo di furgoni per poi essere reimmesse sul mercato. Ogni settimana in Emilia si registrano dai due ai tre tentativi di furti di Parmigiano Reggiano. I colpi tentati o messi a segno e le refurtive recuperate sono all’ordine del giorno nei territori che vanno da Reggio Emilia a Modena, passando per Parma e Piacenza fino al mantovano. La corsa all’oro della pianura Padana però, non è un lavoro per ladri di polli, ma un business che vale diverse centinaia di migliaia di euro. Quasi sempre dietro alle razzie ci sono gruppi ben organizzati composti da almeno una decina di persone che agiscono soprattutto nel periodo autunnale, e in particolare con l’avvicinarsi delle festività natalizie, quando il re dei formaggi diventa un must di tavole imbandite e cesti regalo, e il commercio e la vendita al dettaglio di cibi pregiati si impennano per i cenoni di Natale e Capodanno. Le bande di esperti del Parmigiano studiano i furti con dovizia di particolari, come richiede la tipologia di prodotto: occorrono mezzi adeguati – spesso camion che risultano essere rubati -, forza lavoro in grado di trasportare a braccia in poco tempo forme da 40 chilogrammi, ma è anche necessaria una rete di lavorazione e smistamento delle forme per la rivendita.

Il formaggio Dop sottratto da magazzini e depositi nella maggior parte dei casi, infatti, prende le vie che dall’Emilia portano verso il nord e soprattutto il sud Italia, e solo in minima parte arriva all’estero. Le forme, del valore di circa 300 euro l’una, sono destinate alla distribuzione in un mercato parallelo grazie alla collaborazione di commercianti compiacenti, ma per essere vendute devono prima essere trattate affinché non sia rintracciabile la provenienza. “Sicuramente vengono lavorate subito dopo il furto – spiega a ilfattoquotidiano.it Giuseppe Alai, presidente del Consorzio del Parmigiano Reggiano – perché ognuna di esse ha un marchio e una placca di caseina riconducibile al produttore, che è come una carta di identità. Perciò vengono tagliate e trattate in modo da cancellare queste tracce. Di certo dietro c’è un sistema organizzato, perché le persone che si occupano delle varie fasi, dallo studio del colpo alla ricettazione, appartengono spesso a gruppi diversi che a volte non si conoscono e sono coordinati dall’esterno”. Anche i territori colpiti sono scelti con cura: Reggio Emilia e Modena, per esempio, sono punti di attrazione perché vicini ai principali snodi autostradali. “Il territorio più sotto tiro è Reggio Emilia – spiega Alai – l’idea che ci siamo fatti è che sia per la vicinanza a un’autostrada molto trafficata, che quindi può aiutare i malviventi nella loro fuga e nel trasferimento dei prodotti”.

A fine settembre la squadra mobile di Modena ha incastrato un’organizzazione a delinquere che tra il 2013 e il 2015 avrebbe saccheggiato dai caseifici oltre 2mila forme di Parmigiano. Secondo quanto emerso dalle indagini il gruppo, composto da una quindicina di persone originarie di Cerignola, programmava ogni colpo in tutte le sue fasi, con una ripartizione di mezzi e ruoli. Prima avveniva il sopralluogo con lo studio dei sistemi di vigilanza, quindi si testava l’allarme facendolo scattare nei giorni precedenti al blitz notturno, in modo da indurre nei proprietari l’idea di un guasto e ridurre la preoccupazione. Infine la razzia veniva compiuta con la pianificazione di ogni attività dal trasporto al facchinaggio, con l’aiuto di complici che facevano da palo per avvisare di un eventuale arrivo delle forze dell’ordine. Ancora, a Fidenza, nel Parmense, a novembre 2014 i carabinieri di Parma hanno colto in flagrante una banda originaria della Puglia mentre stava svuotando un magazzino, e a marzo 2015 i militari di Luzzara, nel Reggiano, hanno recuperato in una cascina 200 forme trafugate già confezionate per l’invio altrove. Sono alcuni dei casi più eclatanti emersi nel lavoro delle forze dell’ordine per contrastare le bande specializzate nel Parmigiano.

Nel tempo ai gruppi con più di una decina di membri, perlopiù provenienti dal sud Italia, si sono aggiunti anche quelli di origine straniera formati da meno persone, che operano in modalità meno sofisticate per portare via quantitativi più ridotti, intorno alle 50-60 forme, come dimostrano anche i dati. Soltanto nel 2015 il Consorzio ha registrato 22 furti tra i suoi associati, con un leggero aumento rispetto al 2014, ma a fronte di una minore quantità di merce rubata. “Negli anni – continua Alai – il numero di forme che vengono sottratte è diminuito. Un tempo si poteva arrivare ai 500-1000 pezzi, ora mediamente ci si aggira al massimo sull’ottantina”. Nelle prefetture dei territori coinvolti, da tempo sono aperti tavoli che operano in collaborazione con il Consorzio del Parmigiano Reggiano per prevenire il fenomeno e sensibilizzare gli operatori sulla prevenzione con l’installazione di sistemi di sorveglianza nei caseifici. “Sicuramente siamo presi di mira, ma stiamo cercando di lavorare per costruire, attraverso comportamenti ripetuti che riscontriamo – conclude il presidente Alai – una rete capillare di informazioni che possa essere utile per difenderci”.

Articolo Precedente

Crisi Saeco, il paese si mobilita per salvare gli operai: “O resistiamo più della multinazionale o qui si muore”

next
Articolo Successivo

Reggio Emilia, il bar dove si lavora a maglia. “Relax e socialità senza stare dietro a un pc”

next