Nell’articolo La città rinasce sui binari dismessi di Alessandro Arona, pubblicato su Il Sole 24 Ore si affronta il tema del recupero e valorizzazione di suoli urbani non più utilizzati. Il punto di partenza è che esistono 6,6 milioni di metri quadrati di “aree o strutture ferroviarie dismesse pronte alla riqualificazione urbana, senza consumo di nuovo suolo” corrispondenti ad aree delle ferrovie dello Stato che oggi risultano in stato di sotto utilizzazione o di abbandono e che sono “quasi sempre centralissime” nelle grandi aree urbane del Paese.

Ferrovia

 

I meccanismi utilizzati per la trasformazione di queste aree (aree non utilizzate = edilizia; aree centrali = elevati profitti) afferiscono un po’ troppo al solo sistema economico marginalizzando così il più profondo interesse culturale, ambientale e sociale che è alla base di una qualificazione degli insediamenti.

Partiamo dall’inizio. Le ferrovie dello Stato sono un soggetto pubblico a cui in passato è stato affidato il compito di creare, implementare e gestire la rete e il trasporto su rotaie. A un certo punto, con una scelta aziendale precisa e perseguita coerentemente negli anni, le Ferrovie si sono disinteressate al trasporto merci (che è molto più basso in Italia che in gran parte dei Paesi europei) e si sono concentrate sul trasporto passeggeri privilegiando alcune e più trafficate linee.

Questo fatto, unito all’evoluzione delle tecnologie, ha fatto sì che molti magazzini, molte aree di stoccaggio, dei materiali e dei treni merci, molte aree di manutenzione e di riparazione e molte aree connesse al funzionamento delle stazioni passeggeri e merci siano state abbandonate. Allora la prima domanda che ci si pone è: le aree, essendo state destinate alla mobilità su ferro e sapendo quanto tale mobilità sia meno inquinante di quella su gomma, al di là delle scelte dell’”azienda ferrovie”, possono rappresentare una potenzialità per la mobilità merci su ferro? Possono essere utilizzate per supportare i viaggi di piccola media percorrenza? Potremmo investire su esse per praticare sistemi di mobilità più consone, ad esempio, alla soluzione dei problemi climatici che ci attanagliano? In sintesi possono essere in qualche maniera collegate alla mobilità delle persone e delle merci (interscambio o altro), ragione prima della loro destinazione d’uso?

Può essere di sì o può essere di no.
Se fosse sì, forse si potrebbe riflettere e, al di là della necessità di pareggio di bilancio di una azienda, trovare altre soluzioni.
Se fosse no, perché il futuro di queste aree dovrebbe essere di interesse delle Ferrovie che hanno come obiettivo non la speculazione immobiliare ma il trasporto pubblico?

Le Ferrovie che non servono per la mobilità dovrebbero essere restituite alla comunità, avendo loro avuto una concessione finalizzata a un uso specifico molto lontano dagli interessi specifici di una società come Sistemi Urbani (gruppo Fs) a cui è demandato il compito di fare fruttare tali aree.

Con un’impostazione così limitata i risultati non possono che essere asserviti a finalità immobiliari estranee all’interesse comune come sono stati i grattacieli a Porta Nuova a Milano o la stazione Tiburtina a Roma, interventi pesanti che hanno in un caso ridefinito il paesaggio urbano della città e nell’altro prodotto altre cubature inutilizzate, lontani dalle esigenze dei cittadini e dai caratteri dei luoghi (e ambedue oggi per gran parte di proprietà di banche).

Ma è questo il prezzo che bisogna pagare per non occupare altro suolo? O forse sarebbe più interessante verificare l’esistenza di interessi comuni per quelle aree, aprendo ad una verifica non esclusivamente economica della “riqualificazione”?

di Adriano Paolella

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