Con tariffe tra le più basse in Europa, le ferrovie ricevono trasferimenti per circa 8 miliardi all’anno e il trasporto locale per 5 miliardi. Somme che potrebbero essere utilizzate in modo diverso e forse più utile per le fasce di popolazione a più basso reddito. Come si spostano i pendolari.

di Marco Ponti e Marco Spinedi (Fonte: lavoce.info)

Chi beneficia dei sussidi ai trasporti

Il 15 ottobre 2015 si è svolto a Bologna il seminario “Finanziare i trasporti al tempo della crisi tra sussidi e corrispettivi”. Nel corso del dibattito è emersa una questione raramente discussa in Italia che riguarda le implicazioni sociali collegate all’erogazione al settore di un notevole ammontare di sussidi. Due numeri, pur approssimativi, possono aiutare a comprendere la dimensione del problema: i trasferimenti alle ferrovie si aggirano intorno a 8 miliardi all’anno, in conto capitale e di esercizio, quelli al trasporto locale a circa 5, che si giustificano con il fatto che le tariffe relative ai servizi offerti arrivano a coprire una quota dei costi tra le più basse d’Europa, tra il 30 e il 50 per cento, contro una media europea del 60 per cento circa.

Una tale mole di denaro dovrebbe preoccupare qualsiasi accorto amministratore, vista la necessità di allocare risorse notoriamente scarse tra voci a forte valenza sociale quali sanità, scuola e, per l’appunto, mobilità.
Nel caso dei trasporti locali, ad esempio, ci si aspetterebbe che l’amministrazione pubblica sia molto attenta a verificare in che misura ne beneficino gli strati sociali più deboli.

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In realtà, le informazioni disponibili sono scarse: dall’ultima ricerca disponibile, il Censis del 2008, emergerebbe che i pendolari che utilizzano i mezzi pubblici sono principalmente impiegati e studenti, mentre tra gli automobilisti il 70 per cento del totale sono operai e artigiani. Il risultato non sorprende, considerando che il trasporto pubblico di migliore qualità è generalmente disponibile in aree ad alta densità abitativa, mentre risulta molto meno efficace nelle aree periferiche, ove residenze e luoghi di lavoro sono diffusi in un territorio ampio. Risulta difficile (e costoso) servire con linee di bus insediamenti che implicano un numero modesto di relazioni “punto a punto”.

Senza forme di diversificazione tariffaria, tarate in funzione del reddito (soluzione praticata in altri paesi europei), si finisce con sussidiare i redditi più alti, soprattutto nelle aree centrali della città, dove si concentra la maggior parte dell’utenza totale. Il limitato interesse delle pubbliche amministrazioni a conoscere l’impatto distributivo dei sussidi non è un segnale molto confortante.

Aerei e alta velocità per la “continuità territoriale”

Un secondo esempio fa riferimento al tema della “continuità territoriale”, che formalmente dovrebbe riguardare solo le isole. È certamente giusto consentire ai residenti di beneficiare dei “servizi minimi” (marittimi), ma perché sussidiare i servizi aerei ai residenti a reddito medio-alto? Molti proprietari di seconde case, infatti, prendono la residenza sulle isole per godere dei servizi aerei a basso prezzo.

Nello stesso filone rientrano i sussidi impliciti ai servizi di alta velocità ferroviaria. Parte dei costi di esercizio delle linee Av non entrano nelle tariffe d’uso, cioè non sono a carico degli utenti, ma della fiscalità generale, mentre sono interamente a carico dello Stato i costi di investimento dell’infrastruttura. Non è così per altre infrastrutture, sia di rete (le autostrade) che di nodo (molti degli aeroporti). L’unica indagine, francese, sulla composizione socio-economica degli utenti dell’alta velocità sembra dimostrare che appartengono prevalentemente a fasce di reddito medio e alto.

Sull’argomento distribuivo, il fatto più eclatante riguarda i servizi su gomma di lunga percorrenza, scomodi, soggetti alle incertezze del traffico, ma molto meno costosi dei servizi ferroviari corrispondenti, e perciò in rapida crescita in tutta Europa, utilizzati, proprio per questo, da passeggeri a basso reddito, spesso extra-comunitari. Mentre i servizi ferroviari sono ampiamente sussidiati, quelli su gomma non solo non lo sono, ma sono tassati attraverso il prezzo dei carburanti, oltre al pagamento del pedaggio delle autostrade di cui si servono. Un caso esplicito di politica fiscale regressiva.

La riduzione dell’impatto ambientale e della congestione stradale sono sicuramente obiettivi che possono giustificare una politica di sussidi, ma ciò non inficia quanto sopra illustrato. Inoltre, la teoria economica sembra concordare sul fatto che sia assai più efficiente intervenire in via diretta sulle esternalità (come la Commissione europea suggerisce). Nel convegno bolognese, e in alcuni articoli de lavoce.info, è emerso inoltre come il sussidio a modi di trasporto alternativi tenda a essere in genere molto limitato.

Si torna allora all’osservazione iniziale: i fenomeni ambientali e distributivi su cui impostare le politiche di sussidio al trasporto sono oggi facilmente quantificabili. Ciò potrebbe contribuire a tarare con migliore approssimazione il corretto dimensionamento del sussidio stesso, giustificandone l’ammontare ai cittadini-contribuenti. È davvero singolare che tali quantificazioni in Italia vengano effettuate molto raramente.

*Marco Ponti insegna economia dei trasporti, prima a Venezia e da tre anni al Politecnico di Milano. Ha svolto attività di consulenza per la Banca Mondiale, il ministero dei trasporti, le Ferrovie dello Stato e del ministero del Tesoro occupandosi di regolazione del settore aereo e autostradale. Ha partecipato come esperto al primo e al secondo Piano Generale dei Trasporti. Svolge attività di ricerca nell’ambito dei modelli trasporti-territorio, di analisi di fattibilità economica e finanziaria dei progetti (versioni avanzate dell’analisi costi-benefici), regolazione economica e liberalizzazione del settore (tecniche di gara, regole di accesso alle infrastrutture ecc.) e di “public choice”.

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