A Madrid è stata la notte delle calcolatrici: 163 seggi se Mariano Rajoy e Albert Rivera vanno a nozze, 159 se Pablo Iglesias (nella foto) strizza l’occhio a Pedro Sánchez. La somma è sempre la stessa: ben sotto i 176 seggi che garantiscono la maggioranza assoluta. La parola che risuona già prima di mezzanotte è “ingovernabilità“. E alla fine gli spagnoli hanno fatto “canc” e sono andati a dormire, senza capire chi sarà il nuovo presidente del governo. O meglio se un premier ci sarà o si dovrà tornare alle urne. La partita è in mano al re Felipe VI, che dopo le consultazioni, designerà un candidato per tentare di formare il nuovo governo. O Mariano Rajoy o Pedro Sánchez.

Se il Partido popular ha vinto le elezioni (28,7%), la possibilità che il premier uscente resti al palazzo della Moncloa per i prossimi quattro anni è ridotta a un lumicino. I risultati delle elezioni hanno confermato quello che tutti i sondaggi dicevano da un anno: per il bipartitismo suonano le campane a morto, mentre Podemos (con il 20,6%) e Ciudadanos (13,9%) hanno già in tasca le chiavi del futuro governo. I popolari e i socialisti hanno perso insieme qualcosa come 83 deputati, fermandosi a un 50,7% di voti, la percentuale più bassa degli ultimi 25 anni. E Rajoy ottiene il peggior dato dai tempi del suo predecessore José María Aznar. Eppure il PP non disfa la valigia. Nella storica notte elettorale Rajoy si è affacciato dal consueto balcone della sede del partito e ha detto chiaro e tondo: “Proverò a formare un governo”. Ma con chi? Neppure con l’appoggio di Rivera e l’astensione dei socialisti il PP potrebbe fare il miracolo. Tanto più che cercare un’astensione anche tra i partiti nazionalisti (quelli che come Erc lottano per l’indipendenza catalana) sarebbe ridicolo.

La patata bollente potrebbe quindi passare a Pedro Sánchez. Il partito ottiene il peggior dato della storia (22%) e si piazza dietro Podemos a Valencia, in Galizia, Navarra, Paesi Baschi, Isole Baleari e Catalogna. A Madrid poi il Psoe arriva solo al quarto posto. Sánchez ha già dichiarato la sua totale apertura “al dialogo, alla discussione, agli accordi”: potrebbe diventare premier solo se ottiene l’appoggio di Podemos e Izquierda Unida ma anche l’appoggio (o l’astensione) di qualche partito nazionalista. Ma non è così semplice, giacché al Senato il PP resta in maggioranza e potrebbe creare una situazione di stallo perenne tra le due Camere. Il puzzle dei patti appare complicato tanto più che Pablo Iglesias mette avanti la riforma costituzionale a qualsiasi tipo di accordo. Il partito viola festeggia la vittoria in Catalogna, Madrid e Paesi Baschi, dove diventa prima forza, parla di “una nuova Spagna che mette fine ad un’era politica” e fa l’occhiolino agli indipendentisti di una “Paese plurinazionale”. Ma la lettura dei risultati potrebbe obbligarlo a ripensare ad una qualche alleanza con il Psoe. Che comunque non basterebbe.

Al centro si piazza Ciudadanos, che finisce per essere il quarto partito nonostante i sondaggi lo situassero al secondo posto. Albert Rivera si ferma a 40 seggi, racconta di un risultato “storico” e vede il resto dei partiti non come “nemici, ma compatrioti”. L’apertura c’è, probabilmente verso il PP. Ma anche qui le cifre non quadrano. La chiave di queste somme impossibili è una sola: non è finita. Il PP potrebbe governare, ma solo se il Psoe glielo permette. Il Psoe, anche se Podemos glielo permette, non è detto che riesco a farlo. Una grosse koalition alla tedesca? Finora i socialisti hanno detto di no. Elezioni anticipate fra tre mesi? Mai successo in Spagna. Ma visto il terremoto di ieri, da oggi nulla è escluso. Altrimenti, come spiega El País, in un divertente editoriale, cari spagnoli “Benvenuti in Italia“, il Paese dei pentapartiti, del compromesso storico, dei transfughi, degli strateghi e delle alleanze impossibili, dove i governi, se tutto va bene (e quando si va a votare) durano 6 o 7 mesi.

@si_ragu

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