Cinque fiumi completamente bianchi. Sembra un’illusione ottica, ma è uno sversamento di marmettola, lo scarto di lavorazione del marmo che mescolato all’acqua diventa una fanghiglia capace di seccare qualsiasi corso d’acqua. Succede sulle Alpi Apuane, in un’area che copre 5 Comuni tra le province di Lucca e Massa Carrara, dove si trova la più importante riserva idrica toscana ma anche – paradosso dei paradossi – il più grande sito estrattivo di marmo al mondo.

Quella ricchezza che diventa condanna
I corsi d’acqua che scorrono vicino alle miniere si sono riempiti di marmettola. C’è innanzitutto il torrente Lucido, chiamato così proprio per le sue acque limpide, che nasce dal monte Rasore in Lunigiana (Fivizzano, provincia di Massa Carrara) e poi scivola giù attraversando le famose grotte di Equi Terme, uno dei luoghi più suggestivi del Geoparco Unesco delle Alpi Apuane. C’è poi il Carrione, torrente che attraversa decine di cave di Carrara prima di srotolarsi verso mare con la sua acqua perennemente torbida. E poi il Frigido e il Renara, rispettivamente fiume e affluente, che nascono sulle colline massesi e, insieme, tagliano a metà la città. E infine il canale del Giardino che nasce nelle montagne della Versilia e poi si immette nel fiume Vezza attraversando i comuni di Stazzema e Seravezza, a Lucca. Tutti bianchi, come contagiati da un virus.

Arpat: “Cultura della gestione delle polveri poco diffusa nelle cave”
Nonostante gli scarti della lavorazione del marmo non vengano più gettati direttamente nei corsi d’acqua, come accadeva fino agli anni Ottanta (prima che ci fosse una normativa ad hoc), ci finiscono comunque. “Se si rispettassero regole e autorizzazioni vigenti – fanno sapere della sede massese di Arpat – ci sarebbe molta meno marmettola e materiale di varia granulometria trascinato a valle. Il problema è che alle cave la cultura della gestione delle acque e dei materiali più fini è molto poco diffusa; per i titolari di cava, si tratta solo di costi imposti dalle autorità competenti”. In altre parole: essendo un rifiuto speciale, la marmettola dovrebbe essere stoccata e portata in discariche apposite. Ma non sempre succede. Viene invece abbandonata nei piazzali di cava o dove capita finendo, con la pioggia, nei corsi d’acqua, con il rischio di seccarli per sempre.

La marmettola, lo scarto che funziona come il cemento
La marmettola funziona un po’ come il cemento: “Infiltrata nel reticolo carsico, modifica i percorsi delle acque sotterranee e può essere causa del disseccamento di alcune sorgenti e del loro intorbidamento”, fa sapere a IlFattoQuotidiano.it Arpat. Senza considerare poi che è anche contaminata da oli e grassi e da metalli. Non è un caso infatti che nelle ultime analisi effettuate dall’Agenzia nel Frigido e nel Carrione è emerso che le acque sono “molto inquinate o comunque molto alterate”. Fosse solo questo. “La presenza della marmettola, oltre ad essere di per sé un problema ambientale, è anche un indicatore di una situazione pericolosa dal punto di vista idrogeologico – fa sapere a IlFatto.it Mauro Chessa, presidente della Fondazione dei geologi della Toscana – Significa che vi sono ravaneti instabili, corpi detritici soggetti all’erosione”. Inoltre, depositandosi sul letto del fiume, rende più rapido lo scorrimento superficiale delle acque, aumentando il rischio idrogeologico.

Inchiesta della Procura dopo l’alluvione del 2014, 9 indagati per reati ambientali
A Massa Carrara la Procura ha già aperto un fascicolo per reati ambientali in cui, per il momento, risultano indagati 9 imprenditori del marmo di Carrara. L’accusa è quella di non aver smaltito, per anni, forse decenni, i detriti provenienti dall’escavazione né la marmettola, aumentando il rischio di esondazioni del torrente Carrione. “Una cosa deve essere chiara – aggiunge Chessa – la marmettola, che intasa le cavità carsiche, che inquina gli acquedotti, che soffoca la vita nelle grotte, nei fiumi e nel mare, non è naturale. In natura non esiste, il marmo, se non viene tagliato, non produce marmettola. La marmettola è un prodotto delle attività umane, senza alcun dubbio. La prova sta nell’osservazione che il torrente Gragnana, il solo a monte di Carrara a provenire da una valle non interessata dalle cave, non si tinge di bianco quando piove”.

Violazioni contestate, ma gli enti locali: “Non abbiamo strumenti per fermarli”
A Massa, anche le guardie del Parco delle Alpi Apuane hanno accertato che l’inquinamento da marmettola dei corsi d’acqua è causato dal non rispetto delle regole in cava. E hanno pure elencato una serie di siti estrattivi critici, come quelli di Poggio Piastrone e Rocchetta. Eppure la politica, quella locale, latita, trincerandosi dietro un “non abbiamo gli strumenti per intervenire”. Potrebbero ritirare le concessioni, dal momento che i concessionari non rispettano le prescrizioni dei piani di coltivazione.

Ma non lo fanno, dimostrando che il marmo sotto le Apuane non si tocca. Dalla Regione, contattata dal Fatto.it commentano con un “ci stiamo lavorando”. “Il tema – fanno sapere con una nota dall’ufficio Ambiente – è affrontato nel piano regionale di gestione dei rifiuti e bonifica dei siti inquinati, dove si prevede la specifica azione per il riutilizzo e riciclaggio della marmettola del distretto lapideo apuo-versiliese. Lo strumento cardine previsto dal piano per questo particolare materiale è il sostegno alla ricerca e all’innovazione tecnologica per la definizione di processi e tecnologie di riciclaggio dei flussi di marmettola, le cui caratteristiche chimiche e fisiche ne limitano oggi, in alcuni casi, la destinazione a riciclaggio”. Non una parola però sul perché chi inquina continua a estrarre marmo dalle Apuane.

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