“Quanta fretta ma dove corri, dove vai”? Giusto per citare il grande Bennato pinocchiesco, tornato di moda con la fatina Boschi, azzoppata dal paterno conflittone d’interessi su Banca Etruria. “Quanta fretta”, appunto, per la mozione di sfiducia contro la ministra delle Riforme presentata il 14 dicembre dal Movimento 5 Stelle alla Camera dei deputati. Perché Montecitorio, a dirla tutta, non è il posto ideale per mandare a casa Maria Elena Boschi. La quale, non a caso, appena saputa la location istituzionale ha gonfiato il petto e preso un po’ di coraggio: “Vedremo se hanno i numeri per sfiduciarmi”.

Al Senato, invece, la storia sarebbe molto diversa. Nota Maurizio Gasparri di Forza Italia: “Riterrei un atto di saggezza agire al Senato. Per i numeri che renderebbero onerosa e poco onorevole la salvezza della Boschi”. A Palazzo Madama, infatti, i numeri non sono blindati come alla Camera, grazie al premio di maggioranza del Porcellum.

Al Senato, la maggioranza del centrodestra renziano è risicatissima (il centro del Pd più la destra alfaniana) ed è per questo che da tempo si avvale dell’apporto dei neoresponsabili di Denis Verdini, ex berlusconiano e già sherpa riservato del fu patto del Nazareno tra il premier e l’ex Cavaliere. E così si arriva alla “salvezza poco onorevole” tratteggiata da Gasparri: a Palazzo Madama per non fare affondare la ministra del giglio magico sarebbero necessari i voti della pattuglia di Verdini. Cioè i voti controllati da un imputato per associazione a delinquere per bancarotta fraudolenta, appropriazione indebita e truffa allo Stato nel fallimento della sua banca.

Verdini è un neorenzianissimo che ha un bel po’ di guai giudiziari. Il più pesante riguarda la bancarotta del Credito cooperativo di Firenze, perché, altro dettaglio, il potente senatore è toscano come la famiglia Renzi, toscano come la famiglia Boschi. Oltre al processo principale, il renziano “Denis”, legatissimo a Luca Lotti, che con il premier e la ministra forma il triangolo di comando del governo, è stato rinviato a giudizio per il fallimento di una ditta indebitata con il Credito cooperativo fiorentino. Dai guai di una banca all’altra: per il potere del giglio magico una salvezza verdiniana al Senato per la Boschi sarebbe una nemesi creditizia equivalente alla classica vittoria di Pirro. Ecco perché l’iniziativa del Movimento 5 Stelle, una volta trasferita a Palazzo Madama, potrebbe fare danni consistenti al governo, dopo il sofferente fine settimana della Leopolda nel segno della Boschi.

La mozione ha un punto di partenza chiaro, che in tempi di berlusconismo avrebbe provocato girotondi e comizi in piazza: “Il ministro Boschi, così come indicato nella dichiarazione patrimoniale pubblicata sul sito del consiglio dei ministri, possedeva circa 1.500 azioni della Banca Etruria interessata dal cosiddetto decreto Salva Banche e che il padre del ministro, Pier Luigi Boschi, e il fratello Emanuele Boschi, hanno avuto rapporti professionali e di dipendenza con la suddetta Banca”. Ha spiegato poi Alessandro Di Battista in una conferenza stampa: “Le colpe dei padri non devono ricadere sui figli ma si deve capire se i provvedimenti presi dal governo, mentre il ministro Boschi per discrezione si assentava dal cdm, hanno favorito la sua famiglia. Speriamo che non solo la Lega, ma anche chi nel Pd è d’accordo con noi e non parla e l’opposizione votino la nostra mozione”. Di Battista chiede chiarimenti anche sulle plusvalenze milionarie e “politiche” di Banca Etruria.

La mozione potrebbe contare sui voti di M5S, Sinistra Italiana, Lega e Forza Italia, ma alla Camera si rischia di perdere un’occasione d’oro per ridimensionare la madrina della peggiore riforma costituzionale mai approvata, portatrice sana di conflitto d’interessi.

da il Fatto Quotidiano del 15/12/2015

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