Per Volkswagen lo scandalo resta, ma perlomeno si allarga meno del previsto. Dalle verifiche dell’organo statale di controllo Kaftfarth-Bundesamt è infatti risultato che sono solo 36mila, e non 800mila come la stessa azienda temeva inizialmente, le auto a benzina e diesel i cui dati di emissioni di Co2 sono stati manipolati. Si tratta del capitolo due del caso dei test truccati, scoppiato in settembre negli Stati Uniti: in quel caso a essere coinvolte erano solo le macchine con motori diesel e nel mirino c’erano le emissioni di ossido di azoto.

A novembre si è diffusa la notizia della nuova grana, potenzialmente ancora più grave perché sulle emissioni di Co2 vigila la Commissione europea, che ha diritto di infliggere sanzioni. Non solo: in diversi Paesi, tra cui la Germania, il bollo auto è legato all’anidride carbonica prodotta. Per cui agli automobilisti coinvolti sarebbe stato chiesto di pagare una differenza, che la casa tedesca aveva promesso di accollarsi. In aggiunta al costo dei richiami, stimato in 2 miliardi di euro.

“Solo un modesto numero di varianti di modelli di auto nuove richiede lievi modifiche al livello di Co2 indicato nel catalogo”, si legge nella nota di Volkswagen, che nel frattempo ha ottenuto un prestito ponte di 20 miliardi per far fronte ai costi del diesel gate. “Il sospetto che il consumo di carburante dei modelli ora in produzione sia stato modificato in modo illecito non è stato confermato” e “durante le nuove misurazioni solo nove modelli hanno mostrato leggere deviazioni”. Di conseguenza, nemmeno “l’impatto negativo sugli utili“, pari a 2 miliardi, è stato confermato: ora, entro Natale, “un servizio tecnico indipendente effettuerà nuove misurazioni sotto la supervisione dell’autorità appropriata” e “in caso di qualsiasi deviazione” rispetto ai dati effettivi “i numeri verranno corretti”. Su questa base verrà poi determinato il nuovo impatto atteso sui conti.

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