Il certificato di laurea è ben ripiegato nel cassetto, il cappello e l’alloro pure. Laura e Marco, dottori in Sociologia all’Università di Bologna, hanno deciso di lasciare tutto per tornare alle origini: lavorare la terra. Dopo 5 anni passati nel capoluogo emiliano come studenti fuori sede, Laura Castellani, 28 anni, e Marco Montanari, 30, suo compagno, hanno detto basta. “Per mantenerci facevamo di tutto. Vivere così era diventato davvero impossibile”.

La laurea magistrale non ha dato loro alcuna possibilità lavorativa. E così i due fidanzati sono stati costretti a buttarsi nei soliti lavoretti stagionali. C’era da pagare le spese per la casa, l’affitto, la benzina per gli spostamenti in auto in città. Laura finisce per lavorare come segretaria, Marco in un bar, come cameriere, poi in un magazzino e in un call center. È in quel momento che arriva l’idea di tornare a casa. “Abbiamo deciso di mettere in pratica quella che per noi era l’altra soluzione”. Laura e Marco tornano nel loro paese d’origine, a San Clemente, sulle colline romagnole in provincia di Rimini, rimettono in sesto il vecchio appezzamento di terra appartenente al nonno di Marco e cominciano a lavorarlo. Da due anni, ogni giorno, danno anima e corpo al loro progetto. E nel loro piccolo sognano di “cambiare il mondo”.

“Per mantenerci a Bologna facevamo di tutto. Vivere così era diventato impossibile”

Il primo anno è stato durissimo: senza attrezzature efficienti e con un campo di soli 5mila metri quadri a disposizione i frutti del lavoro sono stati davvero pochi. “Abbiamo dovuto fare i conti con la strutturale carenza di attrezzature, materiali e finanziamenti”, racconta a ilfattoquotidiano.it Laura. Ma l’entusiasmo è tanto. Dalle olive alle nespole, dall’insalata al radicchio, dalle cipolle rosse all’uva da tavola: Laura e Marco oggi coltivano tutto a mano, cercando di portare avanti un’idea di agricoltura biologica. In più gestiscono una piccola fattoria, dalla quale ricavano altri prodotti, su tutti uova e carne. Quando ci sono delle rimanenze di frutta o di ortaggi, li trasformano in marmellate e in conserve, per evitarne lo spreco. Tutto è venduto direttamente dalla loro pagina Facebook (“Dalla parte del cavolo”) o tramite i vari mercatini nella zona ai quali partecipano.

Le giornate sono lunghe. La sveglia suona ancor prima dell’alba, e quando si semina si torna a casa dopo il tramonto. Tutto quello con cui vivono, oggi, viene dal campo. Insieme riescono a racimolare quasi 400 euro al mese a testa: “Abbiamo dovuto tirare la cinghia di parecchio – sorridono – ci auguriamo di aumentare, anche di poco, il nostro reddito”. I due fidanzati tengono duro, e rilanciano l’idea di strutturare il progetto in una vera e propria azienda agricola. Nonostante per loro non ci sia alcun aiuto. “Per favore, non parliamo dei finanziamenti pubblici – risponde Laura – Quando due anni fa siamo partiti in questa esperienza pensavamo di poter accedere a qualche fondo. Ma le cose non sono andate come previsto”. E così, Laura e Marco hanno lanciato un crowdfunding, una raccolta fondi online, grazie alla quale avere la possibilità di comprare gli attrezzi per fare il vero salto di qualità: da una seminatrice manuale alle botti di acciaio per il vino, fino ad una cisterna per la raccolta dell’acqua piovana.

Oggi coltivano e gestiscono una piccola fattoria, dalla quale ricavano anche uova e carne. Quello che avanza di frutta e verdura? Trasformato in marmellate e conserve

Laura e Marco sanno che non può funzionare tutto online, e così hanno deciso di lanciare la propria “campagna dal basso”, organizzando eventi e cene di finanziamento sul territorio. Anche gli attrezzi se li costruiscono da soli, per quanto possibile: “Per due anni – ricorda Laura – abbiamo lavorato in condizioni a tratti pre-moderne. Nonostante tutto, però, siamo riusciti a venirne fuori. Per una realtà piccola come la nostra – sottolineano – sono gli unici canali di finanziamento possibili”.

Perché non tentare con un’opportunità lavorativa all’estero? “Se dobbiamo andare fuori solo per fare i camerieri non ha senso – rispondono in coro i due –. Spesso, tra i giovani, c’è un mito esterofilo per cui se vai all’estero stai meglio che in Italia. Ma non sempre è così”. I giorni di Bologna, comunque, sono solo un lontano ricordo. Insieme allo stress, al precariato, al lavoro sottopagato. Ora, Laura e Marco, si dicono felici della loro scelta. “Abbiamo deciso di diventare contadini perché la terra, per noi, rappresenta qualcosa di stabile e concreto, con scadenze certe, scandite dalle stagioni. La terra, in fondo, ha rappresentato per noi la risposta alla precarietà esistenziale”.

“Spesso, tra i giovani, c’è un mito esterofilo per cui se vai all’estero stai meglio che in Italia. Ma non è sempre così”

Gli obiettivi per il futuro sono chiari: “Volgiamo coinvolgere il maggior numero di persone possibile per evitare che le terre siano abbandonate. Da queste parti molti anziani non riescono a prendersene cura. Ci vorrebbe un ricambio generazionale massiccio”. Senza risparmiare una stoccata ai giovani di oggi. “Tutti dicono di voler cambiare il mondo. Perché non fare il primo passo?”.

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