papa - Porta Santa 675

Successo. Sfida vinta. Pericolo sconfitto. È presto, troppo presto per dirlo. Il Giubileo straordinario della misericordia voluto tenacemente da Papa Francesco è solo all’inizio. Soltanto dopo il 20 novembre 2016, quando Bergoglio chiuderà i battenti della porta santa di San Pietro, si potrà iniziare a fare un vero primo bilancio e a cercare di comprendere se la sfida di Francesco è stata davvero vinta. Perché l’Anno Santo della misericordia è un invito che il Papa latinoamericano ha voluto proporre alla sua Chiesa perché finalmente si riformi, aprendo a tutti, nessuno escluso, perché non ci devono essere “porte blindate”. Ciò a iniziare dai divorziati risposati, a cui il Sinodo dei vescovi ha concesso di accedere, seppure caso per caso, alla comunione. Ma anche ai mafiosi, ai corrotti, agli abortisti e ai carcerati ai quali il Papa, in questo Giubileo, ha chiesto di convertirsi.

Francesco è coraggioso. Se avesse avuto paura di fallire non avrebbe indetto due Sinodi dei vescovi sulla famiglia con il rischio di perdere clamorosamente sul terreno delle aperture ai divorziati risposati che, come egli stesso ha ribadito, “non sono affatto scomunicati e non vanno assolutamente trattati come tali: essi fanno sempre parte della Chiesa”. Anche se “nel cammino di questo Sinodo le opinioni diverse si sono espresse liberamente – ha ricordato Bergoglio – e purtroppo talvolta con metodi non del tutto benevoli”. Per non parlare degli altri “sgambetti” riservati al Papa per ostacolare il suo cammino di riforma: dal coming out del monsignore gay in Vaticano, alla lettera dei 13 cardinali oppositori al Sinodo, alla falsa notizia del tumore benigno del Papa al cervello, a Vatileaks 2 . Che si tratti di un complotto o meno Francesco ha dimostrato nel suo primo viaggio in Africa di avere paura soltanto delle zanzare.

Sul percorso che deve seguire la Chiesa l’omelia della messa di apertura della porta santa di San Pietro è stata eloquente: “Dovunque c’è una persona, là la Chiesa è chiamata a raggiungerla per portare la gioia del Vangelo e portare la misericordia e il perdono di Dio. Una spinta missionaria, dunque, che dopo questi decenni riprendiamo con la stessa forza e lo stesso entusiasmo. Il Giubileo ci provoca a questa apertura e ci obbliga a non trascurare lo spirito emerso dal Vaticano II, quello del samaritano, come ricordò il beato Paolo VI a conclusione del Concilio. Attraversare oggi la porta santa ci impegni a fare nostra la misericordia del buon samaritano”.

Bergoglio ha spiegato che “anche la necessaria opera di rinnovamento delle istituzioni e delle strutture della Chiesa è un mezzo che deve condurci a fare l’esperienza viva e vivificante della misericordia di Dio che, sola, può garantire alla Chiesa di essere quella città posta sopra un monte che non può rimanere nascosta. Risplende solo una Chiesa misericordiosa. Se dovessimo, anche solo per un momento, dimenticare che la misericordia è quello che a Dio piace di più, ogni nostro sforzo sarebbe vano, perché diventeremmo schiavi delle nostre istituzioni e delle nostre strutture, per quanto rinnovate possano essere, ma saremo sempre schiavi”. Il Papa ha aggiunto: “Certo, qualcuno potrebbe obiettare: ‘Ma, Padre, la Chiesa, in questo Anno, non dovrebbe fare qualcosa di più? È giusto contemplare la misericordia di Dio, ma ci sono molti bisogni urgenti!’. È vero, c’è molto da fare, e io per primo non mi stanco di ricordarlo. Però bisogna tenere conto che, alla radice dell’oblio della misericordia, c’è sempre l’amor proprio. Nel mondo, questo prende la forma della ricerca esclusiva dei propri interessi, di piaceri e di onori uniti al voler accumulare ricchezze, mentre nella vita dei cristiani si traveste spesso di ipocrisia e di mondanità. Tutte queste cose sono contrarie alla misericordia”.

 

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