Da oltre due anni – e malgrado la sollecitazione in tal senso del presidente Napolitano – il Parlamento rifiuta di avviare l’esame di una proposta di legge di iniziativa popolare per la legalizzazione della eutanasia presentata dalla Associazione Luca Coscioni nel settembre del 2013 con 67mila firme di cittadini/elettori.

La legislazione italiana non prevede nemmeno il testamento biologico (o Dichiarazioni anticipate di trattamento – Dat). Anzi, solo la fine anticipata della Legislatura ha impedito l’approvazione della cosiddetta “legge Calabrò” (dal nome del suo relatore, un deputato clericale), che di fatto affidava ogni decisione sul fine vita ai medici, arrivando a prevedere l’obbligatorietà di alimentazione e idratazione artificiali per i malati terminali, che avrebbe fatto dell’Italia il solo paese con il “sondino di Stato”.

Sulle scelte di fine vita l’Italia, in Europa, indossa dunque la maglia nera, come su gran parte dei diritti civili, negati ai suoi cittadini. Grazie anche alla pesantissima ingerenza del Vaticano nel dibattito politico su temi che la Chiesa definisce “non negoziabili”, mentre si tratta semplicemente di diritti civili di cui la stessa Chiesa, in altri Paesi europei in prevalenza cattolici, si è fatta promotrice e garante (emblematico il caso del testamento biologico in Germania). Tanto da rendere necessario e urgente il superamento del Concordato del 1929 e della sua edizione rivista del 1984.

Nemmeno i dati spaventosi sui suicidi di malati (1.000 ogni anno, oltre a più di 1.000 tentativi di suicidio non riusciti) e sui casi di eutanasia clandestina (20mila l’anno, seppure “mascherati” spesso da casi di desistenza terapeutica) hanno mosso a pietà e a ragione il nostro Parlamento.

Ma il muro comincia a mostrare qualche crepa.

225 fra deputati e senatori, rispondendo ad una sollecitazione della Associazione Coscioni, hanno aderito fino ad oggi ad un Intergruppo che – senza ovviamente vincolare nessuno alla legalizzazione della eutanasia – perseguirà con decisione lo scopo di far sì che il Parlamento discuta finalmente delle scelte di fine vita in modo aperto e approfondito.

I cittadini, dal canto loro, continuano a pronunciarsi a favore della eutanasia con maggioranze schiaccianti (perfino, secondo una approfondita indagine sul Nord Est del “Gazzettino”, il 52% dei cattolici che frequentano con regolarità la messa).

E cominciano a cercare nelle autonomie locali quel che viene negato in Parlamento dagli “eletti del popolo”: la via per ottenere almeno i registri dei testamenti biologici.

Il risultato è che già oggi il 25% della popolazione italiana può depositare le proprie Dat: una scelta che non ha un valore giuridico cogente, trattandosi di una materia di competenza del Parlamento nazionale, ma di cui certamente devono tener conto familiari, medici e giudici.

Oltre a Roma – capitale d’Italia e città sul cui territorio “insiste” (è il caso di dirlo) lo Stato del Vaticano – ben nove capoluoghi di regione hanno istituito il Registro dei Testamenti Biologici: Bologna, Firenze, Genova, Milano, Napoli, Palermo, Reggio Calabria, Torino e Venezia. Lo stesso hanno fatto la Regione Friuli Venezia Giulia, 22 capoluoghi di provincia e 130 comuni.

Ragionevolmente presto avremo i Registri in una cinquantina di altri Comuni e in quattro Regioni (Abruzzo, Lazio, Molise e Sardegna) in cui sono state presentate proposte di legge, delibere o mozioni (spesso di iniziativa popolare), mentre iniziative volte allo stesso fine sono già partite in Lombardia e in Campania.

Infine, su questi temi continua a tacere il cosiddetto servizio pubblico radiotelevisivo, mentre Mediaset, con una nuova ed emozionante puntata de Le Iene, torna coraggiosamente a sostenere il diritto alla autodeterminazione nelle scelte di fine vita. Un servizio che val la pena di vedere.

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