La promessa di un mondo migliore per tutta la sua generazione, la piena assunzione di responsabilità morale verso di lei e i suoi coetanei, l’impegno a devolvere in opere filantropiche quarantacinque miliardi di dollari. Esiste, nel pianeta, una bambina che non vorrebbe avere due genitori così consapevoli e sensibili? Probabilmente no. Tuttavia la vera domanda sollevata dalla lettera alla figlia Max pubblicata su Facebook l’altro ieri da Mark Zuckerberg è un’altra: è lei il reale destinatario di quelle sei cartelle di post che in poco più di 24 ore hanno ricevuto quasi un milione e mezzo di like, centinaia di migliaia di condivisioni, l’acclamazione via commento di opinion leader del calibro di Arianna Huffington, Richard Branson, Melinda Gates, Shakira? Vedi sopra: probabilmente no. Naturalmente no. Non è per la piccola Max che è stata scritta. Siamo noi i destinatari.

Priscilla and I are so happy to welcome our daughter Max into this world!For her birth, we wrote a letter to her about…

Posted by Mark Zuckerberg on Martedì 1 dicembre 2015

La lettera non è stata gelosamente chiusa in un cassetto da due emozionati neogenitori in cerca di un luogo riparato da occhi indiscreti. E’ stata resa pubblica sul social network più famoso del mondo; da un account da 43 milioni di fan, quello del fondatore. Il suo codice è studiato, caratterizzato da un lessico puntuale ma sempre accessibile, applicato a temi complessi e che toccano da vicino ogni individuo: la salute, l’ambiente, l’eguaglianza, la povertà. Max sarà senz’altro di mente agilissima e precoce come i suoi genitori, ma per leggerla e comprenderla avrà bisogno di qualche anno. Le promesse del messaggio – combatteremo le malattie, sfrutteremo fonti d’energia pulita, sconfiggeremo la povertà – nascono invece da scelte contenutistiche e retoriche finalizzate a parlare innanzitutto con noi, dei nostri giorni, qui e ora. Domande giuste al momento giusto, innestate in un testo che deve apparire documentato quanto basta: declamatorio ma senza l’ansia del dettaglio. Un nuovo messaggio del founder alla propria “community”, sulla scia di una strategia collaudata e che vede nel paternalismo del leader un tratto ormai costante e caratterizzante. Un altro riuscito esempio di business writing in cui Zuckerberg annuncia di devolvere in beneficenza il 99% delle  sue attuali azioni e riaggiorna la mission valoriale del gigante digital che ha creato, che dirige e di fatto coincide con la sua stessa persona. Coglie l’occasione, peraltro, per non creare malintesi: sarà il Ceo di Facebook, scrive in un passaggio, ancora per molti, molti anni.

In un’epoca contraddistinta da innovazioni tecnologiche pervasive e da nuove e altrettanto globali minacce, la responsabilità sociale è diventata per le imprese uno straordinario veicolo di narrazione e promozione delle proprie attività: in un’intervista di circa un anno fa, il sociologo Alberto Abruzzese vi ha scorto una nuova manifestazione della “volontà di potenza occidentale”, che tende a realizzare profitti dalla partecipazione etica delle persone, “illudendole che un investimento etico dal basso riequilibri invece che rafforzarla”. Che si tratti di reale scelta di sostenibilità o di artificioso storytelling, il colosso di Menlo Park ha senz’altro scelto da tempo la responsabilità sociale quale tema distintivo del proprio racconto di sé. E perfino l’attacco terroristico a Parigi ha dato a Facebook un’occasione per approntare un’operazione di “instant marketing” etico: prima l’applicazione per far sapere che chi era a Parigi “stava bene”, poi la colorazione della foto del profilo. Federico Mello, sull’Huffington Post, ha rilevato quale straordinaria opportunità di raccolta di big data sugli utenti siano circostanze come questa.

E se c’è un aspetto su cui Facebook dovrebbe fornire garanzie in termini etici, su cui Mark Zuckerberg dovrebbe sentire una “responsabilità morale” verso tutta la futura generazione, è proprio la trasparenza nella gestione dell’infinità di dati personali e comportamentali desunti da un numero di account attivi che ha raggiunto, quest’anno, il miliardo e mezzo. Se questo bagaglio di conoscenze verrà utilizzato per scopi pericolosi, se finirà nelle mani sbagliate, se servirà, come purtroppo potrebbe, ad alimentare inedite strategie di controllo della società, non ci sarà filantropia capace di porre riparo ai danni.

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