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L’idea non è né originale né complessa, sicuramente qualcuno l’ha già pensata e certamente altrove è già in atto. La parte difficile sta nel battere il chiodo, insistere e convincere che l’idea può funzionare: educare attraverso l’emotività e farlo nelle scuole, veicolando temi sulla prevenzione (sesso non protetto, alcol, droga, per cominciare) grazie all’impegno civico di artisti che donano almeno un’ora del loro tempo alle scuole.
Nell’aprile scorso avevo scritto dell’intenzione di provarci, qui su ilfattoquotidiano.it, e da quel momento è iniziato un lavoro di tessitura, di diplomazia. Sarà che sono così, alla mia maniera, che son papà di due bambini che stanno crescendo, che non mi va di restare indifferente, che non è necessario che siano figli tuoi per volere bene ai figli degli altri, ma si deve provare. Si comincia in pochi, chi suona una chitarra, chi canta, chi sa danzare, chi è attore, chi disegna (gente che lo fa anche di mestiere), chi sa trasmettere idee e valori con l’emozione.
Si comincia in pochi, a piccoli passi, fuori dal teatro o palazzo o festival. Si va a farlo nelle scuole, dove il momento della vita ha la sua delicatezza maggiore, dove sai di trovare i ragazzi e le ragazze che avranno in eredità qualcosa di peggio di come glielo stiamo lasciando noi dinosauri. Perché è facile farlo nei salotti deputati a giocare a “facciamo finta che…”, come un palco. Ma se non ci impegniamo a farlo dove serve di più, dove si va costruendo un futuro che altrimenti non si regge in piedi, dove il buono della scuola è fatto di persone che a dispetto di tutto ci credono e non mollano, se i valori che siamo bravi a decantare sul palco non li condividiamo sulle barricate delle scuole, giù da ogni piedistallo, me lo dite a cosa serve?
Alcuni giorni fa il momento ufficiale, la conferenza stampa per annunciare che il progetto parte, con molte aspettative: continuare, allargarsi, coinvolgere sempre più artisti, guidati da professionisti della prevenzione (le straordinarie ragazze dell’Unità di Strada e dello Spazio Giovani di Parma), arrivare a coinvolgere i ragazzi stessi, studenti che possano andare a loro volta nelle scuole ed emozionare i loro coetanei, sperando che il progetto possa esser replicato ovunque.
L’idea non è originale né complessa, ma emozionando può funzionare.
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