Musica

Coldplay, ecco “A head full of dreams”: un gioiello pop contemporaneo, tra Beyoncé e Barack Obama

L'incedere malinconico che così tanto ha caratterizzato la musica dei Coldplay sin dai loro esordi, per dire, è ben presente in ogni traccia. E non solo per il modo dinoccolato di cantare di Martin, qui in una delle sue prove migliori, più controllate, emotivo ma al tempo stesso maturo. Eppure questa nuova prova della band è qualcosa di assolutamente nuovo

di Michele Monina

Partiamo da un punto fermo: i Coldplay di Chris Martin (mai come oggi i Coldplay sono Chris Martin, la sua voce e il suo piano) di sicuro non si annoiano a ripetere sempre la solita solfa. Prova ne è A head full of dreams, loro nuova prova in studio, un lavoro che si allontana neanche poco da quanto fin qui proposto, seppur rimanendo così prepotentemente legato al sound della band, complice la pervasiva voce del frontman e la capacità di band e produttori di riprendere certi vezzi degli album precedenti, facendo di citazione paradigma.

L’album, è noto, vede alla produzione il duo scandinavo Stargate, coadiuvati dal solito Rik Simpson. Proprio il tocco degli Stargate non manca di farsi sentire, con un orientamento verso un’elettronica che mette gli strumenti suonati in secondo piano, esattamente ripercorrendo, rivisto e aggiornato, il cammino intrapreso dagli U2 subito dopo la sbornia tradizionale di Ruttle and Hum, con Achtung Baby, Zooropa e Pop. Piegare la forma delle proprie canzoni, tenendo solo certe caratteristiche, e sacrificando sonorità consolidate per dar vita a qualcosa che arrivi completamente nuovo, è una sorta di esercizio zen che i Coldplay riescono a mettere in atto in maniera quantomai naturale, morire elefante per rinascere tigre.

Poi, chiaramente, i fan della prima ora storceranno il naso per la presenza massiccia di batterie elettroniche, di pattern campionati, di tastiere che tengono le chitarre sottotraccia. Il piano no, che è da lì che partono un po’ tutte le canzoni, ma sfido chiunque, se c’è un coraggioso si faccia trovare domattina all’alba dietro la chiesa degli Scalzi, a dire che brani come Erglow o Fun non suonino palesemente e pesantemente come canzoni della band britannica. Così come lo suonano i brani più distanti dal passato, come Army of one o Hymn for the weekend. Concetto del resto applicabile anche al già noto singolo Adventures of a lifetime, dove un riff di chitarra campionato e reiterato, appoggiato su un loop di batteria elettronica, ha dato vita a una hit dance destinata a rimanere.

I Colplay, questo ci dicono le undici tracce di A head full of dreams, sono la vera band pop-rock dei nostri tempi, figlia degli U2 e capace, questo ci ha detto la recente storia delle due band, di scalzare i Radiohead dal podio, sempre che Thom Yorke e soci abbiano mai voluto giocare questa partita. Chiaramente, quando si parla, forse impropriamente, di dance, o di elettronica, e quando si cita Pop degli U2, si pone il lettore, non ancora ascoltatore, nelle condizioni di credere che di dance e elettronica nel senso letterale del termine si intenda (si potrebbe citare anche l’R’n’B, in un paio di tracce, a volersi allargare), mentre qui, preparatevi, stiamo parlando di qualcosa di nuovo, almeno sul fronte mainstream. L’incedere malinconico che così tanto ha caratterizzato la musica dei Coldplay sin dai loro esordi, per dire, è ben presente in ogni traccia. E non solo per il modo dinoccolato di cantare di Martin, qui in una delle sue prove migliori, più controllate, emotivo ma al tempo stesso maturo.

L’album, squisitamente pop e denso di belle canzoni, spazia dalla ballad al brano più mosso, passando per certi revivalismi portati a casa in scioltezza. Si comincia con A head full of dreams, brano eponimo, con una intro vagamente duraniana e una ritmica dance che poi si espande, accompagnata da riff alla The Edge e un cantato sornione, quasi sotto la base. Si prosegue con Birds, brano che parte come Close to me dei The Cure sotto amfetamina, per poi aprirsi in un ritornello 100% Coldplay. La terza traccia è la prima sorpresa, forse il brano meno prevedibile della covata (una covata tutta piuttosto imprevedibile, va detto). Si tratta di Hymn for the weekend, sghembo R’n’B che vede la partecipazione di Beyoncé, amica degli Stargate. E proprio con la cantante afroameicana si parte, in un gioco a più voci che tesse un tappeto sonoro su cui parte un giro di piano molto coldplayano e su cui arriva poi Chris Martin che canta alla Chris Martin. Un bel brano, originale, ipnotico, probabilmente un tormentone.

Si prosegue con due ballad. La prima è Egerlow, col piano e le macchine su tutto. Martin canta l’amore e lo fa con la complicità della sua ex, Gwynet Paltrow, più evocata che presente. Ricorda, come mood qualcosa dei primi Eels, e lo si legga come un gran complimento. Sospesa. La seconda Fun, che vede Martin accompagnato dalla cantante svedese Tove Lo. Stavolta in evidenza ci sono le chitarre, non molto invasive altrove. Qui assente è la sezione ritmica, almeno nelle prime battute, per poi arrivare, elettronica. Anche questa è una classica canzone dei Coldplay, ma è diversa dalle classiche canzoni dei Coldplay, perché solo i grandi, sembra, sanno rinnovarsi senza perdersi per strada.

Quinta in tracklist il singolo A day in a lifetime. Perfetta nella sua leggerezza. Tocca poi Kaleidoscope, che non è esattamente una canzone, quanto più un break emotivo, con una poesia interpretata da Coleman Banks, accompagnata dal piano di Khatia Buniatishvili e che finisce con un campione di Amazing Grace interpretata da Barack Obama. Ecco, se prima abbiamo detto che Hymn for the weekend è la prima sorpresa dell’album, nonché il brano meno prevedibile di tutto il lavoro, abbiamo mentito. Almeno, abbiamo mentito sulla seconda parte, perché è Army of one, probabilmente, il brano più sghembo e meno prevedibile di A head full of dreams. Tutto giocato su un campione della voce di Martin che fa da tappeto, quindi qualcosa di poco vicino al pop-rock classico della band inglese, ma che si sviluppa nel mondo più vicino al sound della band tra le tracce presenti in tracklist. Un piccolo gioiello, un vero miracolo. In coda parte la ghost track dell’album, X marks the spot, un brano R’n’B anche piuttosto cattivo, cupo. La coppia di canzoni racchiude il meglio di un album che è tutto su alti livelli.

Amazing day è un brano in cui i Coldplay giocano la carta del revival. Pensate il ballo di fine anno, quello che tante volte avete visto nei film americani, e pensate al ballo tra la reginetta e il suo accompagnatore. Ecco, Amazing day è la colonna sonora. Un walzer, quasi. Un brano dai sapori antichi, cui fa seguito Colour spectrum, altro break musicale messo lì per preparare il finale. Finale che arriva con Up & Up, una tipica filastrocca malinconica alla Chris Martin, giocata su suoni sintetici di violini, una ritmica sincopata, sintetica a sua volta, tutto molto spoglio, almeno fino al ritornello corale, aperto e avvolgente. Ritornello che vede la presenza di Brian Eno, non esattamente uno di passaggio, Beyoncè , Merry Clayton, Annabelle Wallis, attuale fidanzata del frontman, e un assolo alla chitarra di Noel Gallagher. Un brano leggero, ma con una struttura solida, altro probabile singolo.

L’album nell’insieme, dieci canzoni, compresa la ghost track, e due intermezzi, è un gioiello pop contemporaneo. Musica che suona come la musica dovrebbe suonare oggi, senza sovrastrutture. Poi, è chiaro, qualcuno citerà Parachutes e si lascerà andare a “passatismi” e nostalgie, ma i Coldplay sono vivi e vegeti, e non resta che aspettarli dal vivo.

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