La conferenza Cop 21 sui cambiamenti climatici in corso a Parigi difficilmente si concluderà con annunci storici. Ed è improbabile che l’accordo per la limitazione delle emissioni inquinanti raggiunto dai 195 Paesi rappresentati al vertice sarà vincolante. Ma se invece sarà un successo, come auspicato dal presidente francese François Hollande e dal segretario generale delle Nazioni Unite Ban Ki-Moon, i settori industriali si divideranno tra vincitori e vinti: avrà da guadagnarci il comparto delle tecnologie per il risparmio energetico, mentre aumenterà la pressione sui produttori di energia da carbone e petrolio, i gruppi automobilistici, le compagnie aeree e i cementifici. Con effetti particolarmente pesanti, paradossalmente, per aziende partecipate dallo stesso stato francese che ospita e promuove l’iniziativa. Sono le previsioni di Credit Suisse, che dedica un report alle possibili conseguenze della conferenza internazionale.

Secondo gli analisti della banca svizzera, un più rapido passaggio all’energia pulita e maggiori investimenti in soluzioni per l’efficienza energetica andranno a favore dei produttori “con un’esposizione superiore alla media a gas, solare, eolicoidroelettrico. Così come delle compagnie che offrono soluzioni per l’efficienza dei consumi nel settore residenziale e in quello dei trasporti”. Tra i potenziali vincitori ci sono il gruppo austriaco Verbund, la spagnola Iberdrola, la portoghese Edp, la britannica Centrica. Ma anche Royal Dutch Shell e Total. Svantaggiate invece la tedesca Rwe e la ceca Cez. “La maggior parte dei gruppi del petrolio e del gas investono anche nelle rinnovabili, con l’eolico, il solare e i biocarburanti come settori di intervento più comuni”, ricorda il rapporto. “Tuttavia, nessuno di questi segmenti di business in questo momento è determinante se confrontato con la parte legata agli idrocarburi”. Per questo “il peggior esito per le compagnie petrolifere sarebbe un meccanismo globale e obbligatorio di attribuzione di un prezzo alle emissioni di carbonio, con relativi costi di implementazione e spese per adeguarsi”.

Per quanto riguarda i gruppi automobilistici, il rischio è legato al fatto che “il loro potere di fare il prezzo è limitato, cosa che impedisce loro di scaricare sui consumatori maggiori spese in ricerca e sviluppo e in altri investimenti”. In più “l’industria dell’auto è già sotto la lente dopo lo scandalo delle emissioni legato a Volkswagen“. E il 14 dicembre il Parlamento europeo voterà sulla proposta di legge relativa ai nuovi test. “Un risultato aggressivo della conferenza Cop21 metterebbe pressione aggiuntiva sulle aziende”, spiegano gli analisti. I gruppi meno esposti sono Tesla e Toyota, mentre i più a rischio risultano essere Peugeot, Renault e ovviamente Volkswagen.

Le compagnie aeree, già in sofferenza in seguito all’emergenza terrorismo, in caso di approvazione di standard più rigidi per quanto riguarda le emissioni dei motori degli aerei dovranno sostenere ingenti investimenti per rinnovare le flotta. A subire l’impatto più pesante sarebbero, stando all’analisi di Credit Suisse, Air France e Lufthansa. La prima ha “sottoinvestito per sistemare il proprio bilancio e ha meno spazio di manovra rispetto a tutte le altre per aumentare gli investimenti”. Scarso impatto invece, secondo gli specialisti del comparto aereo della banca svizzera, per Ryanair e EasyJet.

emissioniQualche sorpresa arriva dal capitolo dedicato ai settori che avrebbero da guadagnare da una efficace limitazione delle emissioni. Per esempio, gli analisti notano che difficilmente le azioni delle aziende attive nel solare ne trarranno benefici duraturi, perché in ogni caso è improbabile che ci sia un revival dei generosi incentivi degli anni scorsi e “la tecnologia per l’immagazzinamento dell’energia solare non è ancora sufficiente”. Prospettive in chiaroscuro anche per l’eolico. A beneficiare di più della spinta della Cop 21 sarebbero invece le aziende che offrono soluzioni per il risparmio energetico. Tra le compagnie che Credit Suisse segnala come potenzialmente interessanti ci sono le statunitensi Eaton, Magna e Cummins, la francese Schneider, la tedesca Infineon, l’inglese GKN, la giapponese Murata, le cinesi Gree Electrics e Haier Electronics.

Il rapporto non nasconde però che ci sono diversi indizi che portano a prefigurare un insuccesso della conferenza parigina. Per prima cosa, i Paesi chiave hanno già rivelato i propri target sulle emissioni di Co2 in modo unilaterale prima ancora dell’inizio del Cop 21. Poi c’è il fatto che gli obiettivi proposti “implicano un incremento di 2,7 gradi delle temperature medie”, troppo rispetto a quanto sarebbe necessario per tenere sotto controllo il riscaldamento del pianeta. In più, “i Paesi hanno troppa flessibilità nel definire i limiti per i loro obiettivi di emissioni“, “è probabile che qualsiasi accordo non si traduca in un trattamento legalmente vincolante” e “c’è incertezza sull’impegno finanziario nei confronti dei Paesi emergenti“. L’esperienza del Protocollo di Kyoto “ne è un ottimo promemoria”.

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