Tra un paio di settimane sapremo se Ashraf Fayadh sarà l’ennesima persona che verrà portata di fronte al boia saudita per la decapitazione in piazza (già 151 esecuzioni quest’anno e decine di altre sono in programma) o se gli appelli che stanno arrivando alle autorità di Riad da ogni parte del mondo avranno avuto effetto.

Ashraf Fayadh, un poeta e artista nato in Arabia Saudita da genitori rifugiati palestinesi, è stato arrestato nell’agosto 2013 dalla polizia religiosa (denominazione ufficiale: Commissione per la promozione delle virtù e la punizione del vizio), a seguito di una denuncia secondo cui egli aveva bestemmiato, insultato le autorità saudite e distribuito un suo libro di poesie in cui promuoveva l’ateismo.

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Una vendetta personale, ha sempre sostenuto Fayadh, da parte di un uomo con cui aveva discusso durante una mostra di arte contemporanea ad Abha, la città del sud-ovest del paese diventata in questi anni il luogo della resistenza culturale contro l’oscurantismo di un potere religioso che vieta gli spettacoli cinematografici e l’insegnamento delle materie artistiche a scuola.

“Il mio libro, Istruzioni all’interno, pubblicato nel 2008, parlava della mia identità di rifugiato palestinese e affrontava temi culturali e filosofici. Solo degli estremisti religiosi avrebbero potuto interpretarlo come un veicolo di idee distruttive contro Dio” – ha dichiarato Fayadh in una recente intervista.

Rilasciato su cauzione, Fayadh è stato nuovamente arrestato il 1° gennaio 2014. Un mese dopo è iniziato il processo: il querelante originario e due agenti della polizia religiosa hanno dichiarato che l’imputato aveva bestemmiato in pubblico, promosso l’ateismo tra i giovani, avuto relazioni illecite con varie donne e salvato alcune loro foto nel suo cellulare.

Fayadh si è difeso affermando che le donne erano colleghe artiste e che le foto sul suo telefonino erano state scattate durante una settimana d’arte contemporanea nella città di Gedda.

Nel maggio 2014 la condanna: quattro anni di carcere e 800 frustate per “apostasia”. Ma alla pubblica accusa non basta e propone appello contro la sentenza. Il 17 novembre di quest’anno, la nuova sentenza: stavolta la pubblica accusa ottiene ciò che vuole, la condanna è alla decapitazione.

Al di là dei capi d’accusa ufficiali, la vera “colpa” di Fayadh potrebbe essere stata quella di aver fatto conoscere al mondo i metodi della polizia religiosa saudita, diffondendo su Internet il video di un uomo frustato in pubblico dagli agenti.

Ashraf Fayadh fa parte di “Edge of Arabia”, un’organizzazione artistica britannica – saudita ed è conosciuto anche in Italia per aver curato nel 2013 la mostra d’arte contemporanea “Rhizoma” alla Biennale di Venezia.

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