Non più anarchica e scanzonata, non più comunista e ribelle, non più messicana e fancazzista, non più abbronzata e berciante. Non più infradito e pugni chiusi. Livorno valica un altro crinale e diventa Livorno la sudicia. Se una città si misura dal livello di spazzatura lungo le strade, le foto che arrivano dal cuore di Livorno ne documentano lo stato di salute, sono il chiaroscuro di una radiografia. Non è sciatteria e qui non c’è nemmeno la camorra a cui dare la colpa. E’ piuttosto uno sciopero degli spazzini perché il sindaco porterà i libri dell’azienda dei rifiuti in tribunale. E’ l’epicentro di una crisi che nasce amministrativa, diventa politica e per il momento non è ancora ambientale e sanitaria. Responsabilità e alibi si mescolano alla velocità della luce, il copione è anche un po’ banale: il Pd dice al M5s che è roba da dilettanti, il M5s ribatte che il buco è colpa del Pd, il Pd dice che però il sindaco ha cambiato idea, il sindaco risponde che però se mette i soldi lì poi deve tagliare asili, strade, dio-solo-sa-cosa. Qualunque sia la ragione primordiale, quel paesaggio di sacchetti accatastati nella zona pedonale di una città europea del ventunesimo secolo, a un passo dal Mercato delle vettovaglie e dai Fossi medicei, è il fermo immagine del momento più difficile, per certi versi drammatico, da quando Nogarin e i Cinque Stelle governano la città, cioè dalla sera in cui – 18 mesi fa – trionfarono al ballottaggio su quel poco che rimaneva del Pd. 

Il sindaco contestato, i dissidenti, la maggioranza vacilla
Drammatico, sì. “Buffone!”, “Bugiardo!”: le grida contro il sindaco, dentro l’aula più grande del municipio sono un’incrinatura nel palazzo di vetro dei Cinque Stelle: rischia di essere la fine della luna di miele, ammesso che quell’intesa tra il nuovissimo sindaco e la vecchissima città sia davvero mai iniziata. Una crisi con cinquanta sfumature di buio, comprese le solite scissioni interne agli stellati che sono uguali a quelle in Parlamento (dissidenze, urla, minacce di espulsione, gara a chi è più grillino, lacrime) e soprattutto una maggioranza a sostegno della giunta che comincia a essere groggy: lunedì prossimo si pronuncerà il consiglio comunale e in 4 hanno annunciato che non voteranno la decisione del sindaco. Il capogruppo Alessio Batini si lascia andare contro uno dei dissidenti (“Da stasera sei fuori”), i 4 moschettieri ribattono che loro li manda via solo Grillo e che è sempre più evidente la differenza tra il M5s nazionale e quello livornese. Fatto sta: senza quei 4, i voti scendono da 20 a 16 (compreso il sindaco) in un consiglio che è fatto di 33. Il voto di lunedì non è vincolante, ma diventa un crash-test per Nogarin per capire se dietro di lui c’è una maggioranza politica o solo le tabelle del suo assessore al Bilancio.

Il soccorso di Grillo: “Piena fiducia in Nogarin”
Un passaggio stretto stretto, nella seconda città più grande amministrata dal M5s, che cade a 6 mesi dalle elezioni comunali di Roma, Milano, Napoli, Bologna, Torino. Sarà anche per questo che Beppe Grillo ha subito issato la bandiera per sostenere il sindaco sempre fedele: “Il Movimento 5 Stelle dà piena fiducia alla giunta Nogarin e sposa la scelta intrapresa: per governare serve responsabilità e coraggio. In alto i cuori”. “E’ una scelta – prosegue in una nota sul blog – che solo il Movimento 5 Stelle poteva prendere, perché non abbiamo le mani legate, non dobbiamo servire poteri forti, non abbiamo ‘debiti elettorali’ da saldare”. Il Pd, aggiunge, “non ha riscosso le tariffe per il servizio, strizzando l’occhio agli evasori e danneggiando tutti i cittadini onesti” e ha “fatto di questa azienda il proprio manipolo“, mentre la giunta Nogarin lavora per riconsegnare alla città “una società efficiente e sana: sempre e solo per il bene di tutta la collettività, perché questo significa essere del Movimento 5 Stelle: avere come bussola il bene comune e non difendere mai soltanto una parte”.

L’epicentro: Aaamps, 26 milioni di euro di rosso. “Colpa del Pd”
Il centro di tutto si chiama Aamps, acronimo di “groviglio di casini”. Su quell’azienda è aperta anche un’inchiesta penale e si è soffermata perfino un’ispezione del ministero dell’Economia. E’ l’impresa che raccoglie i rifiuti, di proprietà al cento per cento del Comune, circa 250 dipendenti tra impiegati, tecnici, operai, quadri. Poi ci sono un’altra quarantina di precari e altri 200 dipendenti dell’indotto. Aaamps ha chiuso il bilancio 2014 con 21 milioni di euro di rosso: in gran parte incassi della tariffa sui rifiuti mai riscossi durante gli anni di management nominato da giunte di centrosinistra. In gran parte crediti inesigibili che il Comune ora ha messo a bilancio, spalmandole sulle bollette Tia di tutti, abbattendo così il rosso a 11 milioni. Ma ora il Comune, dice il sindaco, non ha soldi per ripianare i conti di un’azienda così male in arnese. Così ha deciso di portare la società in concordato preventivo: porta i libri in tribunale. Ecco il perché di tutto l’ambaradan. I dipendenti si sentono fregati due volte, perché sostengono che fino all’ultimo Nogarin avesse parlato di ricapitalizzazione dell’impresa. Cosa impossibile, allarga le braccia ora lui, significherebbe tagliare per 7 milioni e mezzo il bilancio: “Abbiamo provato tutte le simulazioni, ma non c’è scelta”. Chi contesta, non cede: “Noi continuiamo l’agitazione fino a lunedì. Siccome abbiamo visto che abbiamo un sindaco che è molto flessibile nelle decisioni – ironizza il segretario della Cgil Maurizio Strazzullo – che sia flessibile anche in questa decisione e torni indietro”.

La gestione M5s: 4 cambi di dirigenza in un anno
Il primo capo d’imputazione all’amministrazione Nogarin è proprio la gestione M5s dell’azienda. In un anno è cambiata tre-quattro volte la dirigenza. Il primo amministratore unico era un fedelissimo dei Cinque Stelle che veniva da Massa, trombato un paio di volte alle Comunali e alle Europee: Nogarin lo presentò come una specie di Steve Jobs (disse proprio così). La cronaca racconta che è finita malissimo, con il fedelissimo sospeso dall’incarico e di fatto emarginato, poi reintegrato per paura di una causa, messo in sicurezza. Il motivo della crisi di questi giorni, secondo l’ex sindaco Alessandro Cosimi (Pd, ora senza cariche), è una scelta quasi incomprensibile del timone grillino: hanno voluto, spiega, “sciogliere tutti i nodi in un solo bilancio, come se una banca decidesse di mettere tutte le sofferenze nel bilancio di un solo anno”. Quello che invece è certo è che nell’agosto scorso il sindaco Nogarin esultava, come si può vedere in giro su google: abbiamo salvato la società dei rifiuti, evitato il crac. Tre mesi dopo quelle frasi fanno un brutto rumore.

Protezione civile allertata: “Chiudete bene i sacchetti”
Così, mentre Cinque Stelle e Pd da mesi si lanciano addosso i sacchi pieni di immondizia per decidere di chi è la colpa di questo troiaio, il sindaco deve allertare la Protezione civile e si ritrova a doversi raccomandare: se trovate i cassonetti pieni, andate a gettare la spazzatura in uno vuoto un po’ più in là, e i sacchetti, vi prego, ben chiusi. I livornesi alzano gli occhi al cielo e fanno un respirone, ma con il naso chiuso da pollice e indice: si erano illusi di rovesciare tutto con un solo voto, come se quell’urna del ballottaggio fosse un vaso di Pandora alla rovescia, un po’ come fanno con un quando hanno voglia di chiudere un discorso. Ma la realtà delle cose è molto più complicata, non esiste la bacchetta magica e in questo momento nessuno lo sa meglio del sindaco alieno, il Noga, o Gagari’, con la enne troncata affettuosamente, a ricordare non l’astronauta, ma il tortaio, quello che vende il cinque e cinque nel negozio, poveretto, a pochi metri da dove ora si innalzano i mucchi maleodoranti.

La maledizione delle partecipate
Il mondo appare ribaltato. Da una parte ci sono Grillo che parla di decisione presa “responsabilmente” e “scelta difficile ma necessaria” e il suo sindaco che sfida la selva di fischi e le grida belluine dei contestatori che lo interrompono più volte, scandendo sottovoce: “E’ inutile che facciate il tifo da stadio, non è cambiato niente”. Questa volta quelli che si fanno venire le vene ingrossate al collo e il viso rosso e la voce fioca sono dall’altra parte del bancone. “E ‘un siamo al Seve’. E ‘un sei il cassiere del Seve’ qui, qui devi gesti’ una città” urlano all’assessore al Bilancio, Gianni Lemmetti, laddove il Seven è una discoteca in Versilia di cui Lemmetti anni fa faceva, appunto il cassiere, cioè il responsabile amministrativo. Ecco il secondo capo d’imputazione, legittimo o no, fondato o no: la mancanza di un passato politico, una competenza nell’amministrazione pubblica. Di certo c’è che quella delle nomine per le partecipate è stato un sentiero di croci, con affidamenti di incarichi, nomine, cambi in corsa, dimissioni, scazzi, incompatibilità, disponibilità, sostituzioni e ritiri in tutte le aziende in cui la nuova amministrazione aveva promesso un cambio di passo: farmacie, autobus, teatro, società per la “reindustrializzazione”, case popolari. Non c’è stata pace per nessuna delle società comunali. Il direttore generale del Comune, nominato un anno fa, è indigesto a una parte del meetup.

E il caos oscura l’arrivo dell’Esselunga
Sia come sia, ovunque siano le responsabilità (se nel passato remoto o nel passato prossimo), la classe dirigente di questa parte costiera della Toscana dovrebbe comunque conoscere il pericolo della risacca: quella rabbia con la quale era stato abbattuto il “regime del Pd” nel 2014 non è finita nel nulla. Ora rischia di tornare indietro e trascinare via quel che resta. Peccato, perché proprio oggi, per volontà dell’M5s, l’Esselunga, l’anti-Coop, è finalmente in città.

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