Il finanziamento pubblico alla politica è un argomento di discussione anche nel Regno Unito: soprattutto ora che il partito conservatore al governo ha deciso di far votare il parlamento su quello che viene considerato uno ‘scherzetto’ alle formazioni di opposizione. Nell’ambito dell’austerità e della spending review, così, nei meandri dei documenti presentati nella giornata di mercoledì 25 novembre dal cancelliere dello Scacchiere (ministro dell’Economia di sua maestà) George Osborne, c’è anche un taglio del 19% al cosiddetto ‘short money’, il contributo pubblico che il Regno Unito dà alle formazioni minori (ma non solo) per consentire loro di continuare a fare politica in modo chiaro e limpido. Ecco così che il partito laburista, se la riforma venisse accettata, potrebbe perdere quasi 1,2 milioni di sterline l’anno (ora ne prende 6,2 milioni), cioè circa 1,7 milioni di euro in meno su 8,9 milioni, mentre ai separatisti dello Scottish National Party, quelli che hanno portato la Scozia al referendum – fallito – per l’indipendenza del 18 settembre del 2014, verrebbero a mancare in un colpo solo circa 230mila sterline dei 1,2 milioni garantiti nell’arco di 12 mesi.

La misura fu introdotta negli anni Settanta per aiutare proprio le opposizioni, in anni in cui il dibattito politico fece registrare un’accelerazione anche nel Regno Unito. Quelli erano gli anni in cui si doveva consentire anche alle minoranze di esprimere le loro voci, una cosa che però, evidentemente, ora viene ritenuta superflua in un contesto di taglio alla spesa pubblica e di austerità che in Gran Bretagna sta interessando, fra l’altro, anche il welfare. La notizia di questa ultima decisione del governo guidato da David Cameron è stata data, del resto, quasi come se fosse uno scoop, dalla stampa britannica, considerando che nella giornata degli annunci della manovra programmatica d’autunno la cosa era stata messa a tacere. L’Independent, in particolare, ha sottolineato come un taglio del 19% costituisca una grave perdita per le formazioni politiche, che dovranno risparmiare sul personale parlamentare e nei costi di gestione degli uffici. Il Labour guidato dal pacifista Jeremy Corbyn dallo scorso 12 settembre, dal giorno dell’ufficializzazione dei risultati delle primarie, sarà quindi il partito più penalizzato, ma anche le formazioni “minori” avranno di che penare.

I liberaldemocratici, che fino allo scorso 7 maggio erano in coalizione di governo, ogni anno prendono una media di circa 540mila sterline di contributi pubblici. Il partito dei Verdi, ‘Green’ nel Regno Unito, si accaparra in genere poco più di 200mila sterline, mentre 166mila vanno al Dup, il partito unionista democratico nordirlandese, e 81mila al Plaid Cymru, la formazione che porta avanti le istanze del Galles. Requisiti fondamentali per ottenere lo ‘short money’ sono infatti l’aver preso più di 150mila voti alle elezioni generali e l’aver ottenuto almeno due parlamentari a Westminster.

Così, mentre si scalda il dibattito attorno a questi tagli, nel panorama politico britannico si differenzia al momento solamente l’Ukip, lo United Kingdom Independence Party guidato da Nigel Farage, alleato del Movimento Cinque Stelle all’europarlamento di Bruxelles. Alla formazione euroscettica e contraria alle attuali politiche migratorie di Cameron spetterebbero con la ripartizione circa 650mila sterline, circa 925mila euro al cambio attuale. Ma gli uomini e le donne di Farage hanno già fatto sapere che non accetteranno il pagamento e rifiuteranno quindi questi contributi pubblici.

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