Ciò che resta della Siria è il dolore delle donne. Chiuse in casa a Damasco, Sara, sua madre e sua nonna subiscono una guerra che dura da 31 mesi. Almeno da quanto si ricordano le tre donne nel film “Coma” della giovane cineasta siriana Sara Fattahi. Inserito nel concorso ufficiale di Torino 33, il suo dramma è un pugno allo stomaco che ferisce ancor più cuore e intelletto pensando ai recenti fatti parigini e non solo.

Madre e nonna sono disoccupate, trascorrono la quotidianità tra il caffè e la preghiera mattutina e la visione di soap, film e notizie televisive che non le risparmia dalle atrocità di quanto appare “fuori”. Già, perchè “se tu potessi vedere cosa succede in questo Paese!” esclama la più anziana “dialogando” col defunto marito, militare, “un uomo come non ce ne sono più ora”. Una frase ambivalente tra la mancanza di valori etici dei mariti d’oggi e l’assenza vera e propria di maschi in un territorio che li vede completamente assorbiti dalla guerra.

Sara, che ha 32 anni e ha preferito vivere in Libano ma torna regolarmente a Damasco a trovare madre e nonna, scrive al fidanzato al computer e ascolta sua madre, divorziata, che pur essendo forte non può più trattenere le lacrime. Si uniscono: non possono che resistere e farlo a testa alta. Una cordata al femminile che commuove e fa riflettere, perché sintonizza diverse espressioni al/sul femminile a questa edizione del Torino Film Festival che nel suo primo weekend (esattamente dall’inaugurazione di venerdì 20 a domenica sera 22 novembre) ha già fatto registrare un incremento d’incasso del 5% sul 2014. Se non é il primo anno che ad esordire sotto la Mole è un titolo diretto da una donna né che vi siano diverse opere “in rosa”, la vera considerazione risiede sul tipo di sguardo che le cineaste qui prescelte offrono sul presente. Si tratta per lo più di uno sguardo “combattente” aperto appunto con le “Suffragette” di Sarah Gavron e ora continuato con la siriana Fattihi.

Dolenti ma mai arrendevoli, trovano un’alleata nella collega israeliana Carmit Harash, concorrente nella sezione dei documentari internazionali col suo profetico Où est la guerre. “Dov’è la guerra?” si chiede la giovane regista di Gerusalemme che nel 2000 ha deciso di trasferirsi a Parigi per “stare più serena”. Oggi la serenità sappiamo non abita più nella Ville Lumiére ma forse neppure negli animi della gente qualunque, come quella che Harash intervista per le strade parigine. Prima ancora di Charlie Hebdo “la guerre” era nell’aria, impalpabile, e lo sguardo della regista sensibile e attenta l’aveva intuito. Senza barriere di lingue, culture e colori di pelle o presenza/assenza di veli sul capo, le donne del cinema continuano ad essere il “sintomo” di una comprensione reciproca che dà speranza, nel passato come nel presente e si spera per il futuro. E forse non è un caso che il film partecipato sui sentimenti al giorno d’oggi – “Oggi insieme, domani anche” – presente anch’esso al Torino Film Festival, sia realizzato da un ensamble quasi interamente al femminile sotto il coordinamento della regista napoletana Antonietta De Lillo: non si tratta del fatto che si parli d’amore, bensì del fatto che se ne parli insieme, in collettività. Una “resistenza” aggregante e “profetica” di cui mai quanto di questi tempi si sente l’urgenza.

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