Questo articolo di FQ Magazine fa parte di una serie di contenuti dedicati all’eccellenza enogastronomica italiana. Raccontiamo storie di produttori e appassionati che rappresentano una nicchia importante del made in Italy. Li abbiamo selezionati perché pensiamo che la tutela delle piccole produzioni rappresenti una via possibile per il rilancio del nostro Paese.

Peter Gomez

E non c’entra che si chiama Savino Muraglia come il nonno e il nonno del nonno. Il destino, lui, se lo è scelto da solo. Lo ha scandito come prima parola: “uba”, “oliva” secondo il linguaggio dei bimbi, prima ancora di dire “mamma” e “papà”. E lo ribadisce oggi che, a 36 anni, ha portato il frantoio di famiglia a esportare dal Cile alla Corea. Savino è la quinta generazione di Muraglia a fare l’olio ad Andria. Ma in azienda ci è arrivato nel 2010, dopo una carriera nella finanza a Milano. Come racconta a FQ Magazine.

Savino Muraglia, dalla finanza al frantoio, con le idee chiare
“Avevo una grande voglia di riscatto. Vedevo i miei genitori fare tanti sacrifici e ottenere poco in cambio. Ma poi, per seguire una start up, sono tornato in Puglia e da quel momento ho iniziato a mettere le mani nel frantoio. Mi sono reso conto – spiega Savino – che c’era tanta passione, altissima qualità, ma indirizzata a un canale non più idoneo. Così ho deciso: sarei entrato in azienda. Ma a modo mio”. Cinque anni fa dice al nonno, capitano d’azienda, 95 anni e in gran forma, di avere un nuovo progetto. Ha le idee chiare sulle imprese a conduzione familiare, Savino. “Non dovrebbero essere parcheggi per i figli disoccupati: entrano solo se l’azienda ha bisogno di loro – dice – e dopo aver fatto esperienza altrove, o rischiano di portarla nel baratro”.
Quanti destini può cambiare la voglia di riscatto di un solo uomo? Nel caso di Savino Muraglia, tanti. Abituato a pensare che non esistano scuse ma “giustificazioni alla propria incapacità”, non vuole sentire parlare di eredità borbonica nel Mezzogiorno. “Siamo nel 2015. Diciamo che c’è poca ambizione”. Oggi altri 10 giovani lavorano con lui. “Se non ci fosse stato Savino – ammette papà Vincenzo, mastro oleario che controlla tutto, dalla raccolta alla molitura, insieme al fratello Francesco – avrei chiuso o ci sarei andato vicino. Abbiamo sempre lavorato per un mercato che nel corso dell’ultimo decennio non garantiva più la prosecuzione aziendale. Lui si è buttato su un nuovo mercato del dettaglio”.

Gli orcetti che hanno salvato un’azienda dalla chiusura
E lo ha fatto rilanciando un’altra tradizione pugliese: la ceramica. “Nessuno mai aveva osato dando un tono allegro e di tendenza alle ceramiche” dice Savino. Colorati, a righe o pois, gli orcetti pop del Frantoio Muraglia ammiccano dagli scaffali dei magazzini Lafayette, da Eataly, in Rinascente, da Harrods e negli aeroporti, ambasciatori della buona Italia. A farli a mano, uno a uno, è Paolo D’Aniello, 65 anni, esponente di una famiglia che dal 1881 è sinonimo di ceramica. “Quando andai da loro la prima volta stavano chiudendo, oggi lavorano solo per me. Il primo ordine? 200 pezzi, barra 300: non ero sicuro della richiesta. Oggi – rivela – gli zeri sono aumentati”. “Sono indistruttibili” esulta Francesco, il D’Aniello addetto alla cottura, sbattendone uno contro l’altro.

L’olio pluripremiato amato anche da Felice Sgarra, 1 stella Michelin
Ma un buon olio non si fa col packaging e quello dei Muraglia è ottimo: vanta 5 gocce attribuite da Bibenda, 2 olive di Slow Food e la partnership con il ristorante Umami di Andria, sublime regno del giovane ma già stellato chef Felice Sgarra, apprezzato da Riccardo Scamarcio. A garantire una lenta spremitura a freddo dell’oro dei Muraglia, ci pensa la molazza in granito. Ogni anno un 80enne di Bitonto la ridentella con lo scalpello. L’acqua azotata di scarto, poi, finisce a irrigare i 40 ettari di uliveto, a 800 metri dal centro città. L’ulivo più antico accoglie gli ospiti all’ingresso. Ha 450 anni, ma non ha perso la voglia di vivere: è robusto, possente, carico di frutti. Pronto a servire un nuovo Savino Muraglia.

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