“Crolla a pezzi”. Parola di Domenico Alessio, direttore generale del Policlinico Umberto I, il più grande ospedale d’Italia, uno dei più grandi al mondo. Constatarlo non è difficile. Basta aprire una porta scricchiolante del Centro Trasfusionale Universitario, percorrere un corridoio, meno di venti passi, girare a sinistra tra i laboratori in mezzo a provette incustodite e accessibili a chiunque. Qui si raccolgono, trattano e conservano le sacche di sangue dei donatori e qui le pale di un ventilatore sono costrette a girare al massimo. Non per il caldo, ma per non far surriscaldare interruttori e cavi del quadro elettrico.
“Non è adeguato ai carichi, che vuoi fa’, va tutto a rotoli”, nota rassegnato un dirigente. “Ma c’è de peggio, come se dice, er peggio nun è mai morto”. Benvenuti al Policlinico, modello di Azienda integrata Università-Servizio sanitario nazionale. Er peggio, già. 

“Se c’è un black-out, se va via la luce, non è garantita la continuità elettrica in molte camere operatorie, nelle terapie intensive, nei centri di rianimazione. Per i pazienti, per chi ci lavora, c’è ogni giorno un rischio altissimo”. In pratica non c’è la garanzia dell’attivazione immediata dei gruppi elettrogeni e di continuità, e così le macchine che tengono in vita i pazienti o gli strumenti utilizzati per operare di fatto rischiano di smettere di funzionare e in caso di cortocircuito non si è protetti dalle scariche elettriche.

“Questo non è vero, dal 2014 tutto quello che è in funzione è sicuro”, assicura Alessio che spiega: “Dove esisteva una situazione di pericolo siamo intervenuti, anche se abbiamo dovuto sostituire gruppi di continuità non attivi da decenni”. Del resto “sarebbe una situazione di una tale gravità, insomma una cosa da irresponsabili ipotizzare che non funzioni il gruppo di continuità e far rischiare la vita ai pazienti”. 

Peccato che alcune prove tecniche datate marzo, aprile e poi ancora settembre e persino ottobre 2015 attestino che i gruppi di scambio non si attivino o non ci sia sicurezza di continuità e di adeguato isolamento elettrico in svariate strutture, dall’urologia all’emodinamica, dalla chirurgia alla endourologia, fino alla Ivg (l’Interruzione volontaria di gravidanza). Nell’ultimo documento di ottobre mettono nero su bianco: ‘Prescrizioni urgenti e non differibili’ (l’intervista a un dirigente, video).

Il direttore non ricorda se sono state chiuse, nemmeno quelle che presentano problemi in settembre e ottobre, ma “farà un’indagine e verificherà”. Per ora ci consegna il suo “grido di dolore. Le responsabilità non possono cadere solo su di me, l’ospedale ha più di 120 anni”.

E se non bastasse c’è un problema al sistema antincendio: “Ha gravi carenze, mancano le certificazioni di prevenzione incendi, quelle di conformità  degli impianti elettrici, di collaudo, le obbligatorie periodiche verifiche di funzionalità non vengono eseguite”. A dirlo non è solo il dirigente ma anche i Vigili del Fuoco e l’Agenzia Regionale per la Protezione dell’Ambiente (Arpa). Nel 2013 e poi nel 2014 hanno rilevato le gravi carenze e hanno prescritto gli adeguamenti. Hanno chiesto ad esempio l’installazione di un montalettighe antincendio per permettere di evacuare i pazienti gravi della Terapia Intensiva Coronarica, e invece nell’ascensore a malapena si entra in due. Due stabili più dietro, in Clinica Medica, prescrivono l’obbligo di realizzare una scala d’emergenza perché in caso di incendio i malati ricoverati  si troverebbero intrappolati in un percorso di esodo troppo lungo che finisce in un corridoio cieco privo di uscita di sicurezza esterna. Alla fine è tutto a posto. Che importa se scala e montalettighe non ci sono.

Verbali, multe, mancate manutenzioni, ma dicono che è colpa dei soldi che mancano. “Aspettano i finanziamenti, quasi 220 milioni, per la messa in sicurezza e ristrutturazione da parte della Regione e del ministero della Salute” chiarisce un tecnico. Arrivano, ne sono certi, lo dicono da anni, anche se dal Ministero fanno sapere che “la Direzione non ha presentato ancora un vero progetto di ristrutturazione, ma solo una rappresentazione dei problemi. Uno studio di fattibilità”. Insomma nulla che permetta di elargire in tempi brevi il finanziamento.

“Assolutamente no, è un progetto e i soldi arriveranno dal 18 novembre quando ci sarà la Conferenza dei Servizi. Il Policlinico deve continuare a funzionare”, giura Alessio. Un ospedale fatiscente, dove ancora in alcune zone come nei sotterranei ogni giorno decine di persone tra medici, infermieri e pazienti, anche quelli più gravi, spinti sulle barelle, percorrono un girone infernale tra muri scrostati dall’umidità, immondizia e mozziconi di sigarette e un groviglio di tubi corrosi, fili che penzolano, proteggendosi il capo perché dal soffitto può cadere di tutto.

“Le cause sono da imputare alle precedenti gestioni”, nota il direttore, “a quelli che non si sono mai preoccupati di chiedere i soldi e fare progetti validi”. E si sfoga: “E’ una situazione tragica, quando sono arrivato tutti gli esercizi commerciali che gravitano intorno all’ospedale, dalla banca ai bar, erano attaccati alla rete elettrica del Policlinico e si fregavano i soldi. Qui c’erano aziende con interdittive antimafia”. Lui ha cercato di intervenire il più possibile, anche recuperando denaro dalle penali sui contratti d’appalto  non rispettati. Di certo ammette di essere preoccupato: “Ho fatto tutto quello che c’era da fare, ma ci sono situazioni che non possiamo fronteggiare perché mancano le risorse economiche”. In attesa dei soldi, non resta che sperare che non salti la corrente.

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