boeri nuova 675

L’evasione fiscale in Italia è stimata in circa 180 miliardi di euro all’anno e già la sola riduzione del 50% comporterebbe la disponibilità per lo Stato di circa 90 miliardi di euro. Se il 50% (45 miliardi) di essi venisse destinato a interventi sul welfare e a riduzione delle aliquote fiscali, destinando il rimanente 50% alla riduzione del debito, la maggior parte degli interventi che danno invece origine a scontri sociali più o meno indotti potrebbero essere attuati e i conti dello Stato si risanerebbero in fretta.

L’emersione dell’evasione fiscale avrebbe inoltre alcuni effetti collaterali importantissimi: innanzitutto favorirebbe l’emersione dell’evasione contributiva associata; secondariamente, tramite l’emersione delle due evasioni congiunte, consentirebbe di ottenere chiarezza sulla reale distribuzione della ricchezza che è resa più che opaca dall’evasione. Si potrebbe sapere da subito e con ragionevole certezza, se per esempio una parte dell’assistenza dello Stato non vada a persone che non sono bisognose, o determinare con criteri non puramente numerici se alcune delle pensioni che appaiono da integrare in modo assistenziale siano invece il frutto colpevole e autolesionista di evasione contributiva reiterata.

Senza questa chiarezza, qualsiasi tipo di intervento che sia ispirato da considerazioni sui redditi accertati e sulle loro capacità di contribuire, è cronicamente iniquo. E’ iniquo il sistema dei ticket sanitari, come il regime delle tasse scolastiche, con esenzioni che certamente finiscono anche a evasori totali e che in prospettiva si vorrebbero ribaltare in modo ancora maggiore sui redditi accertati, come per esempio suggeriva Maurizio Ferrera sul Corriere della sera del 12 Novembre; sono iniqui gli interventi sulle pensioni, tarati sull’ammontare degli assegni che talvolta, nelle fasce basse, sono appunto dovuti all’evasione contributiva e parte degli interventi assistenziali. Su quest’ultimo punto, in particolare, è palesemente iniquo l’approccio del presidente dell’Inps Boeri il quale, prescindendo ormai anche da qualsiasi considerazione contributiva propone di spostare risorse dalle pensioni più alte a sussidi di disoccupazione, lasciando intoccate le pensioni basse e medie tra le quali si contano, oltre alle note pensioni baby, anche tutte quelle i cui destinatari hanno scelto di accantonare in segreto anziché versare contributi. Ma sulla iniquità della proposta Boeri ha scritto meglio di me Giampaolo Galli in un articolo recentissimo su L’Unità e non mi dilungo sull’argomento.

Alla luce dei numeri e del panorama desolante dell’iniquità basata sui redditi conosciuti (il triste scenario è ben descritto in un ottimo articolo di A. Brambilla sul CdS del 16 giugno 2015) viene da chiedersi come mai editorialisti, economisti, sindacalisti, associazioni e più in generale i cittadini compatti non si impegnino alacremente nel richiedere con forza e fermezza che vengano affrontati e risolti alcuni problemi che costituiscono un macigno sulla strada del risanamento dei conti e del reperimento delle risorse necessarie a interventi di vario genere. Mi riferisco come detto all’evasione fiscale, ma anche alla corruzione con i suoi enormi costi associati, all’inefficienza della macchina politico/amministrativa e dell’apparato burocratico.

Viceversa, i cittadini vengono indotti a bisticciare tra loro come i galletti di Renzo (Tramaglino, a scanso di equivoci), scontrandosi (fortunatamente in modo solo verbale, per ora) su materie di secondaria importanza e soprattutto a incidenza finanziaria quasi marginale.

Così, abbiamo giovani contro anziani in un conflitto intergenerazionale” articolato in forme talvolta più razionali (scostamento retributivo – contributivo) talvolta più “mirate alla pancia” (il sistema a ripartizione costringe i giovani di oggi a pagare le pensioni dei vecchi”, come se non fosse stato sempre così) o pensionati contro attivi e disoccupati, facendo credere che la flessibilità in uscita o il sussidio ai 55enni senza lavoro non siano realizzabili se non a spese di alcuni degli attuali pensionati, quasi che, solamente perché le due cose sarebbero entrambe gestite dall’Inps, fossero logicamente interconnesse e che non fosse possibile finanziare li sussidi da altre zone (alcune, come detto, assai oscure) della contabilità dello Stato e che la flessibilità in uscita si possa realizzare solamente a spese di chi è già in pensione.

Vale qui ricordare che nei calcoli di Boeri, i sussidi ai 55enni valgono circa 1,5 miliardi di euro all’anno, cioè meno di 1/100 dell’evasione fiscale.

Nessuno vuole spiegare ai giovani che le risorse necessarie a modificare il loro futuro (siano esse sotto forma di tassazione più bassa o di reintroduzione del retributivo per i redditi bassi e medi) vanno cercate altrove che dai pensionati attuali o ai disoccupati che le ragioni per le quali il sussidio non viene legiferato nulla hanno a che vedere con le pensioni d’oro, d’argento e di bronzo, stante che l’assistenza manco dovrebbe stare insieme alla previdenza ed essere invece finanziata dalla fiscalità generale.

Questo comportamento, che definirei strategico, ha risvolti drammatici; distoglie l’attenzione, dandoli per scontati, dai problemi la soluzione dei quali sarebbe interesse di tutti e crea i presupposti per scontri sempre più violenti tra categorie di cittadini, consolidando un clima di reciproca sfiducia e di astio che sono l’esatto contrario di ciò di cui una nazione bisogno.

La modalità non è nuova: si tratta del “divide et impera”, nell’allocuzione latina o “diviser pour régner “, nella versione riferita a Luigi XI di Francia e definisce da millenni una strategia di potere politico o militare che si esplica nel dividere gli oppositori evitando quindi avere a che fare con un fronte compatto, numeroso e per questo temibile. E’ molto più facile aizzare gli uni contro gli altri i cittadini (e che poi si scannino tra loro) anziché predisporsi a rispondere responsabilmente a una eventuale loro richiesta di eliminazione di problemi collettivi e cronici.

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