SAINT-DENIS – A svegliarli sono stati i rumori dei colpi d’arma da fuoco e poi le grida del blitz delle forze dell’ordine. Neanche il tempo di affacciarsi e nella via principale di Saint-Denis, rue de la République, c’era l’esercito. Gli abitanti della banlieue parigina hanno passato la notte in piedi, barricati nelle case o a fianco della folla di giornalisti che per ore ha presidiato da lontano l’appartamento dove si sarebbe nascosto un gruppo di terroristi legato alla strage del 13 novembre scorso.

“Quelli sono stranieri, non hanno niente a che vedere con noi”, racconta un ragazzo. La tensione resta alta, per molte ore non arrivano informazioni ufficiali e i testimoni cacciano tutte le telecamere. “Siamo rovinati: ora ci identificheranno con quelle persone. Se già il clima era teso prima, figuriamoci adesso. C’è una mafia di squat che vengono subaffittati agli immigrati in arrivo dalla Siria. Qui siamo tutti poveri: affittiamo senza fare domande e se anche le facciamo poi non è detto che ci venga detta la verità. Ma se uno ha fame non può farsi troppi scrupoli”.

Nelle strade ci sono solo uomini. Si mettono in disparte e chiedono informazioni de “le marocain” (il marocchino), ovvero l’uomo che sarebbe stato fermato perché proprietario dell’appartamento. Tutti lo difendono. “Io lo conosco”, dice un uomo sui 30 anni, “non è sua la casa. E’ uno squat e lo sanno tutti: non c’è acqua, non c’è l’elettricità. E’ un ragazzo che ha parecchi problemi con la giustizia, ma faccende di spaccio. Sicuramente non è un terrorista. Mi chiedo cosa gli succederà ora”. Una telecamera si avvicina, lui interrompe il discorso e la insegue: “Non voglio che mi filmiate: voi siete complici di tutto questo clima. Statemi lontano”. “Lasciatelo stare”, interviene un amico a calmare la situazione. “Siamo tutti nervosi. Quello che vuole dire è che noi non siamo terroristi. A Saint-Denis ci conosciamo tutti: quel tipo di persone non lo abbiamo mai visto. Non sono gente di qui. Solo che nella zona è facile nascondersi”. Saint-Denis è la banlieue già protagonista dei moti del 2005 e più volte sulle pagine dei giornali per problemi di sicurezza. Ci abitano 130 nazionalità e pochi giorni fa, il sindaco Didier Paillard parlando con ilfattoquotidiano.it, aveva lanciato l’allarme: “Non siamo l’esercito dell’isis, ma qui c’è poca polizia”. “Abbiamo tutti problemi con la giustizia”, taglia corto il ragazzo mentre i suoi compagni lo invitano ad andarsene, “ma qui stiamo parlando di terrorismo. Ve lo ripeto: non sono dei nostri”.

Il blitz finisce intorno alle 12. Saint-Denis per molte ore resta murata viva. Serrande abbassate, bar chiusi e qualche testa che si affaccia ai balconi. Solo davanti alla moschea continua ad arrivare gente. “Siamo molto preoccupati”, spiegano. “Da oggi tutto cambierà. Non ci fideremo più di nessuno, nemmeno dei nostri amici. Noi siamo moderati, non abbiamo niente a che vedere con quelle persone”. E accusano: “La colpa è di chi lucra sull’arrivo degli immigrati. La gente per guadagnare due soldi affitta a chiunque abbia bisogno. Abbiamo visto tantissimi rifugiati dalla Siria arrivare qui. Questa è una zona di passaggio: c’è l’autostrada a due passi e andare in Belgio è facilissimo. Dobbiamo essere più prudenti e diffidare di tutti. Ora siamo davvero in pericolo”. Raccontano che la moschea cittadina è conosciuta per essere tra le più moderate della regione parigina: “Lo sanno che qui certi discorsi non li sentiranno mai. Noi condanniamo con forza gli atti di terrorismo: solo dei criminali disperati possono non amare la vita a tal punto. Quella non è la nostra religione“. Alle 13 arriva l’imam puntuale per la preghiera. La comunità lo segue in silenzio.

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