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In una interessante intervista a Mr. Bernanke apparsa in questi giorni sul New York Times, William D. Cohan fa alcune domande un poco impertinenti proprio a lui, Bernanke, cioè quello che fino a circa un anno fa è stato il numero uno della Federal Reserve americana, ma soprattutto, quello che ha guidato con fermo cipiglio la politica monetaria americana per tutto il periodo pre, durante, e post la “Grande Recessione”.

Bernanke, anche per ricordare l’importanza del suo operato, ha appena pubblicato un libro che è già di grande successo (The Courage to Act) – il coraggio di agire). Nel libro esalta per l’appunto la sua guida della Fed, attribuendosi gran parte del merito di aver salvato l’economia americana grazie alla sua politica monetaria incentrata sul mantenimento del costo del denaro a interesse zero (per gli operatori economici ovviamente, non per il pubblico) e al contemporaneo avvio di tre consecutive manovre di Quantitative Easing che hanno immesso nell’economia americana circa 4 trilioni di dollari freschi a sostegno delle banche e delle imprese, serviti però, di riflesso, anche al sostegno e rilancio dell’occupazione che ha ora raggiunto un livello (disoccupazione al 5%) considerato di piena occupazione.

Come dargli torto? La difesa della moneta e quella dell’occupazione sono i due primari compiti istituzionali di ogni capo della Federal Reserve americana, e non si può proprio in alcun modo sostenere che lui non abbia fatto bene e fino in fondo il suo lavoro. Adesso il bastone del comando è passato alla Yellen e, toccherà a lei prevedere e disporre le azioni necessarie per guidare con la stessa concretezza la politica monetaria del suo paese.

Cohan però, che non è né un economista, né un giornalista puro, ma è un ex operatore di borsa specializzato in acquisizioni e fusioni di aziende (ma che ha anche scritto tre libri sulle funzioni e disfunzioni della Borsa), insieme ai meriti vede anche i problemi lasciati sul campo dalla imponente operazione monetaria della banca centrale, il più rilevante dei quali secondo lui è un mercato rimasto orfano di buone opportunità di investimento per i numerosissimi risparmiatori del cosiddetto “reddito fisso”. Lui vede infatti un mercato tuttora schiacciato in basso dalla politica dei bassi tassi (di rendimento), dovuta alla decisione della banca centrale di prestare denaro praticamente gratis agli operatori istituzionali.

Questa politica, dice Cohan, costringe anche i più tranquilli risparmiatori (normalmente adagiati sui titoli di Stato) a cercare operazioni a maggiore rendimento, e naturalmente anche a maggiore rischio. Essendo il mercato finanziario di oggi il più aperto alla globalizzazione. Questo comporta un rischio che diventa inevitabilmente globale.

Cohan mette quindi il “dito nella piaga”. Non si può certo dire che questo problema non esista ma, per dare più spessore alla sua critica, cita tre personaggi noti nel mondo della finanza che condividono il suo pensiero: David Stockman, già budget director del presidente Reagan; Kevin Warsh, in precedenza Governatore Federale (che casualmente Bernanke ringrazia proprio nel suo recente libro) e Stanley Druckenmiller, un miliardario arricchitosi alla guida di un hedge fund.

Bernanke però non ci sta, questo accostamento, anzi, gli fa proprio venire la “mosca al naso”: Druckenmiller si è squalificato da solo prevedendo nel 2008-2009 una iperinflazione che non c’è stata; al pari di Stockman, che sostanzialmente è da 30 anni che lo dice, ma non si avvera mai; Warsh è un bravo ed esperto investitore, ma non è un economista.

Senza dirlo apertamente fa quindi capire che le obiezioni di quei personaggi non spostano di una virgola le sue convinzioni.

Non la pensa però così il nobel dell’economia Paul Krugman che nel suo blog sul Nyt scrive un articolo dal titolo: “Arguments from irrelevant authority” (argomenti avviati da personaggi incompetenti) per dire che citare quelle persone al fine di sostenere una critica a Bernanke gli fa ricordare una critica su temi di macroeconomia che lui tempo fa ha ricevuto dall’ammiraglio Muller diventato presidente del Joint Chiefs of Staff (un organismo di militari esperti preposto a relazionare i vari dipartimenti e il presidente su temi attinenti la difesa interna ed esterna del paese). Che avrebbe detto Muller quando era ammiraglio se avesse ricevuto una critica dalla Yellen su temi di strategia navale?

In una situazione come quella che l’America stava attraversando cosa poteva fare la Banca Centrale americana? Se avesse alzato i tassi prematuramente allo scopo di favorire questi investitori avrebbe fatto precipitare l’economia nuovamente in recessione (ndr: come è successo all’Europa nel 2011). “Drogare” l’economia spingendo i tassi ancora più in basso non si poteva perché erano già a zero. Ecco quindi la necessità di attivare la leva monetaria dei Quantitative Easing, che immettono grandi quantità di denaro liquido nell’economia eliminando parte dell’ingorgo finanziario accumulatosi nel tempo nei conti delle banche e delle imprese.

Certamente qualcosa in più si sarebbe potuto fare negli anni post crisi, ma era nel potere del Congresso, non in quello della Banca Centrale. (Un modo elegante per dire che è stata responsabilità del Congresso la scelta di attivare politiche di austerity in piena fase di recessione, allungando così di molto il periodo necessario per il recupero alla normalità economico-finanziaria).

Non si può guardare solo alla diseguaglianza distributiva della ricchezza, dice Bernanke, se oggi milioni di lavoratori in America hanno ritrovato un posto di lavoro il merito è soprattutto delle politiche di easy money attuate dalla banca centrale. Se il Congresso avesse approvato negli anni di crisi politiche meno severe la Fed non sarebbe stata costretta a tenere i tassi cosi’ bassi e così a lungo.

Mr Cohan non sembra completamente soddisfatto delle spiegazioni date dal prof. Bernanke, e obbietta che il “rovescio della medaglia” di questa politica di tassi bassi e’ che ha innescato un “asset-price bubble” (soprattutto nei valori immobiliari, ripercorrendo cioè la strada che ha generato la crisi del 2008). Il rischio quindi è che, non appena i tassi verranno ritoccati al rialzo, il mercato finanziario si affloscerà di nuovo, anche a causa della attuale “depressione” del mercato globale, e l’economia americana rischierà di piombare di nuovo in recessione.

Bernanke risponde a questa obiezione semplicemente dicendo che non è più compito suo occuparsi di questi problemi, ora c’è la Yellen, e lei sa cosa fare.

Una risposta corretta, ma che purtroppo non può lasciar tutti tranquilli.

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