“Mamma, che cosa è successo a Parigi? Che cos’è l’Isis?”. Dopo quanto accaduto in Francia non è più possibile nascondere l’orrore spegnendo tv, tablet e smartphone. Un segnale chiaro lo si era già avuto con il concorso ‘Disegna l’intelligence’ organizzato dai servizi segreti nelle scuole elementari e medie: ai bambini l’Isis fa paura. La gara di disegni per capire cosa ne pensano i piccoli degli 007 ha mostrato anche altro: il vincitore ha ritratto un agente che difende i suoi compagni dai soldati del Califfato e la sigla dell’Isis è apparsa più volte nei dipinti che hanno partecipato alla selezione. C’è un modo giusto per spiegare l’estremismo islamico ai più piccoli? “Sì, bisogna raccontare ciò che sta accadendo. Anche per evitare che nasca in loro la paura della diversità, l’odio per il compagno di classe musulmano”, dice a ilfattoquotidiano.it Ernesto Caffo, fondatore e presidente di Telefono Azzurro, professore di Neuropsichiatria Infantile presso l’Università di Modena e Reggio Emilia e membro del direttivo dell’International Centre for Missing & Exploited Children.

QUANDO INIZIARE IL CONFRONTO – “Quando si introduce l’argomento – spiega Caffo – immaginiamo di poterlo fare con bambini che frequentano almeno la scuola elementare, dai 6 anni in poi. Oggi, però, è possibile che certe domande vengano poste prima”. Una volta la tv era l’unica fonte di informazione, che era filtrata anche grazie alle restrizioni della Carta di Treviso. Ora ci sono Youtube e i social network. Secondo il presidente di Telefono Azzurro “diventa centrale la capacità degli adulti, genitori e insegnanti, di stare accanto ai piccoli per aiutarli a sviluppare un pensiero critico su temi che prima erano tabù”. In Francia lo hanno già fatto. Dal 2010 esiste Mon Quotidien, quotidiano per bambini dai 10 ai 14 anni. Dopo l’attentato a Charlie Hebdo è uscito con un numero speciale, per aiutare i genitori a spiegare la strage. Anche Petit Quotidien, pubblicazione dedicata ai lettori dai 6 ai 10 anni, diffusa in molte scuole, ha provato a raccontare l’accaduto, con una raccomandazione: “Adulti, accompagnate i bambini nella lettura di questo numero”.

LE IMMAGINI SHOCK E IL PENSIERO CRITICO – L’11 settembre a New York, i migranti morti in mare. Le decapitazioni e la distruzione di città e opere d’arte. Tutti scatti diventati virali. “Si può aiutare i bambini a difendersi dalla ‘tossicità’ delle immagini attraverso il dialogo”, dice Caffo. Ma come? “Mai partire dalla nostra voglia di trasmettere informazioni, per la serie ‘adesso ti spiego una cosa’. Al contrario, bisogna cogliere le loro domande e curiosità: capire cosa vogliono sapere loro e cercare di dare risposte”. E se un bambino di 6 anni chiede cosa è il califfato? “Domandiamogli cosa ne sa a riguardo – consiglia il presidente della onlus – in modo da poter intervenire prima che si faccia convinzioni sbagliate. Ci possono essere percezioni diverse in classe. Dobbiamo rimettere i bimbi nella condizione di riflettere”. Loro sono curiosi e si confrontano tra loro, anche su argomenti difficili. “Spieghiamo che l’Isis non ha a che fare con la religione – continua – ma con la volontà di strumentalizzare una religione per compiere atti di violenza”.

L’ASCOLTO E LA GESTIONE DELLA PAURA – Per parlare di fondamentalismo islamico bisogna affrontare la questione della fede. “I bambini non devono pensare che il male arriva da questa o quella religione, che ci sono i buoni e i cattivi. E che i cattivi sono gli altri, i diversi, quelli che hanno un altro credo” suggerisce il neuropsichiatra. Va quindi spiegato che gli estremismi hanno spesso portato alla violenza nel corso dei secoli. E che è accaduto anche per il Cristianesimo. “Raccontare senza alimentare l’odio si può – prosegue Caffo – facendo attenzione alle differenze di età e di appartenenza culturale”. La composizione delle classi nelle scuole, con sempre più bambini musulmani, impone una certa preparazione anche da parte degli insegnanti. Il primo strumento che hanno a disposizione gli adulti è l’ascolto. “Diversi studi – spiega il presidente di Telefono Azzurro – hanno dimostrato che i bambini che hanno subìto le conseguenze psicologiche peggiori dopo l’attentato dell’11 settembre non sono quelli che si trovavano sul posto, ma quelli che hanno visto le immagini da casa”. Questo perché i primi sono stati seguiti subito da vicino, da genitori e professionisti e hanno imparato a gestire la paura. Il primo passo per un bambino è quello di chiedere spiegazioni. “Guardando i video delle decapitazioni – avverte il neuropsichiatra – i piccoli possono temere che accada a lui o ai suoi genitori. Le paure devono essere accolte con l’ascolto e non minimizzate”.

LE ‘ARMI’ DEL DIALOGO – I social network possono essere un pericolo. “L’Isis li sfrutta per fare proselitismo – è il parere di Caffo – ma noi possiamo utilizzarli per creare discussioni. Ai genitori suggerisco di adoperare le storie, la lettura, i racconti. Leggete delle persone che combattono per la libertà, dei bambini armati, delle opere d’arte distrutte. Siate onesti ma attenti”. Il gioco, le fiabe, l’arte possono aiutare i più piccoli a comprendere. Per il presidente di Telefono Azzurro “anche i film possono farlo, se gli adulti sono accanto ai propri figli. Raccontare la storia che c’è dietro il video di un ragazzino che uccide un adulto aiuta a far capire come si può essere manipolati. Permette di riflettere”.

IL DRAMMA DEI BAMBINI SOLDATO – Nel diabolico piano dell’Isis i bambini sono vittime. Più volte. Sono vittime i bambini soldato, sono vittime quelli uccisi perché figli del nemico. È opportuno parlarne in casa? “Sì, ma trovando materiali adatti” consiglia il neuropsichiatra. Che aggiunge: “Dobbiamo spiegare che molte volte nei Paesi in cui non c’è libertà i più piccoli possono essere strumentalizzati”. Cosa deve preoccupare oggi i genitori? “Ciò che mi preoccupa sono i tanti minori che ogni giorno fuggono dalle violenze, arrivano in Italia sui barconi e siedono tra i banchi, nelle scuole”. Sono traumatizzati. “Se ne parla poco, troppo poco” dice il presidente di Telefono Azzurro. Che invita a una riflessione: “Anche se quei bambini hanno superato la violenza e sono lontani da quei luoghi, la sofferenza resta dentro di loro. E nessuno se ne cura”.

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