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Ci risiamo. La pièce tragica dell’estate scorsa sul destino della Grecia e dell’eurozona, si arricchisce di nuovi capitoli. Chi credeva che si fosse giunti alla sua conclusione dopo la farsesca accettazione del terzo bail-out l’estate scorsa, rimarrà deluso. Qualche economista assennato avevano invano provato a denunciare le condizioni palesi di insostenibilità di quel piano, e di come la sua implementazione avrebbe portato rapidamente il rapporto tra debito e Pil al di sopra del 200%. Ma questo forse sarebbe il male minore dal punto di vista macroeconomico, dal momento che un’austerità che prevede la privatizzazione degli aeroporti (incidentalmente comprati da compagnie tedesche),una riforma delle pensioni che sposta ancora più in là l’asticella dell’età pensionabile e un obbiettivo di bilancio fiscale fissato al 3.5% di avanzo primario, porterebbe con ogni probabilità il seme della rivolta nelle strade di Atene. L’esecuzione del terzo bail-out da parte della Grecia è semplicemente impraticabile, e la conferma è arrivata proprio ieri quando l’Eurogruppo ha rifiutato di versare nelle casse greche 2 degli 86 miliardi di euro, che costituirebbero il terzo pacchetto di prestiti. Come ha annunciato lo stesso Dijsselbloem, il perito agrario che presiede l’Eurogruppo, la Grecia non ha attuato un soddisfacente piano di riforme strutturali e “i 2 miliardi saranno pagati solo una volta che le istituzioni daranno il via libera quando tutte le azioni che sono state concordate, saranno realizzate, ma tutto questo non si è ancora verificato”.

Quali sono i termini dell’accordo che separano le due parti? Il nodo più difficile da scogliere riguarda la questione dei non-performing loans, quei prestiti difficili da recuperare e divenuti merce avariata per le banche greche che li hanno concessi, e che costituiscono un serio intralcio alla concessione di ulteriori aiuti da parte delle istituzioni europee. Le più importanti banche greche come National Bank of Greece, Piraeus Bank, Alpha Bank e Eurobank detengono 107 miliardi di euro di Npl, e l’esposizione totale dei crediti deteriorati greci rappresenta il 34% dei crediti complessivi. Una percentuale altissima, con la complicazione che questi crediti sono in buona parte dei mutui concessi per l’acquisto delle case di proprietà di molti greci. Il governo greco ha proposto una rateizzazione in 100 tranche di questi crediti per impedire che i debitori perdano la proprietà delle loro case, senza rinunciare alla deroga di 26 giorni per onorare gli eventuali pagamenti mancati. Un termine giudicato troppo generoso dall’Eurogruppo, che lo vorrebbe ridotto a un solo giorno di ritardo, senza la concessione di ulteriori deroghe. La soluzione proposta dai creditori internazionali, metterebbe nelle condizioni di restituire i prestiti solamente il 20% dei mutuatari, mentre il governo greco vorrebbe ammorbidire le condizioni dell’Eurogruppo per tutelare almeno il 50% dei proprietari. Se le banche greche vorranno la ricapitalizzazione delle loro perdite, dovranno necessariamente concedere qualcosa in questo senso.

A voler essere pedanti, la colpa di tale situazione non è tanto dei creditori internazionali, che in fondo altro non fanno che osservare i propri interessi a qualunque costo, come hanno dimostrato ampiamente in passato con il governo Samaras. L’accordo firmato ad agosto prevedeva espressamente l’impegno del governo greco “per aggiornare le proprie procedure di bancarotta, tra le quali quelle per fare fronte ai non performing loans arretrati” fino a prevedere esplicitamente l’adozione di una normativa per permettere di affrontare le eventuali situazioni di insolvenza. La responsabilità di questa situazione è del premier Tsipras, che ha accettato di firmare un accordo irricevibile, tanto da sovvertire completamente l’esito del referendum da lui stesso indetto.

In buona sostanza, nulla è cambiato dalle burrascose condizioni dell’estate passata, quando si era giunti ad un passo dalla rottura definitiva delle trattative e alla conseguente uscita della Grecia dall’Eurozona. La Grecia non è in grado di rispettare quel programma, né può permanere in queste condizioni dentro l’eurozona, senza che le venga concesso un robusto hair-cut sul suo debito e una dilazione alle condizioni degli obbiettivi strutturali di bilancio, che persistono in impossibili avanzi fiscali e sopprimono qualsiasi possibilità di crescita del PIL greco. La posizione più lineare era stata assunta proprio dal falco Schauble, quel Ministro delle Finanze accostato dai suoi detrattori ad un novello dottor Stranamore infatuato della potenza dell’austerity, ma che dal suo punto di vista aveva mantenuto una coerenza di pensiero. Se la Grecia non è in grado di sostenere l’austerity, che esca e cammini con le sue gambe. Su questo si smarca sempre più nettamente la Francia, che inizia a mostrare segni sempre più tangibili di insofferenza nei confronti dello strapotere tedesco, dopo che il ministro delle Finanze francese Sapin ha fatto sapere che la Grecia “ha già fatto considerevoli sforzi”, e spingendo in tal senso per l’accoglimento delle richieste greche.

Ora arriva l’ultimo grottesco tentativo del governo greco di acquisire un qualche peso negoziale in Europa, giocandosi la carta dei migranti. La Grecia sarebbe disposta ad aprire un passaggio per i migranti ad Evros, nel nord-est del paese, pur di ottenere in cambio un po’ di ossigeno dai suoi creditori e consentirle di tirare a campare per qualche altra settimana. Se queste sono le strategie del nuovo governo Tsipras, non c’è da stare troppo allegri e non stupirebbe assistere nuovamente ad una piega drammatica di questa vicenda, ma il buon senso sembra essere passato di moda da un bel pezzo.

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