Da conquistatori dell’ex impero del latte affossato da Calisto Tanzi e salvato da Enrico Bondi, con promesse di investimenti in Italia, a proprietari stranieri accusati di mettere in ginocchio l’intero comparto del latte. I francesi di Lactalis, che in questi giorni sono nel mirino degli allevatori, nel giro di pochi anni sono riusciti a primeggiare nel settore in Italia, rilevando dal 2003 in avanti, grandi marchi nazionali come Galbani, Invernizzi, Locatelli e soprattutto Parmalat. È allora, con l’Opa lanciata nel 2011 e l’acquisizione della multinazionale di Collecchio risorta dalle ceneri del crac grazie al lavoro del commissario Bondi, che il gruppo controllato dalla famiglia Besnier aveva assicurato in futuro anche investimenti proprio nel settore del latte italiano. L’idea era quella di creare a Parma, o meglio a Collecchio, un centro di produzione e distribuzione del latte fresco in Europa. Una promessa mai mantenuta, come più volte in questi anni hanno ribadito i sindacati, che oggi stride con le critiche che piovono sul gruppo da parte del mondo dell’agroalimentare.

Nella denuncia degli allevatori, di Assolatte e Coldiretti, ci sono il latte sottopagato rispetto ai costi di produzione e le importazioni dall’estero che negli anni hanno fatto crollare il sistema. E pensare che nel 2003, nel periodo più buio del crac Parmalat, all’indomani dell’arresto di Tanzi, erano stati proprio gli allevatori, insieme agli altri fornitori e ai dipendenti dell’azienda, a salvare la produzione della multinazionale, senza mai smettere di portare il latte a Collecchio e nelle sedi del gruppo, nonostante l’incertezza dei pagamenti e soprattutto di fronte al baratro che sembrava attendere il gruppo. Oggi invece, gli allevatori minacciano di fermare il mercato. Pagati troppo poco per resistere e a rischio di estinzione. “Dall’acquisizione del gruppo Parmalat da parte della multinazionale francese nel 2011 in Italia hanno chiuso 4.000 stalle italiane, oltre il 10 per cento del totale”, ha denunciato la Coldiretti. Una situazione peggiorata nell’ultimo anno, aggiunge l’associazione, “con la decisione unilaterale di ridurre del 20 per cento i compensi riconosciuti agli allevatori”. Il risultato è che i prezzi sono scesi a 34 centesimi al litro, quindi al di sotto dei costi di produzione che si aggirano intorno a una media che va dai 38 ai 41 centesimi al litro.

Il braccio di ferro tra allevatori e Lactalis prosegue da giorni. Coldiretti parla di un “ricatto straniero” dopo la decisione del governo italiano, a fine settembre, di proibire la produzione di formaggi senza latte fresco (utilizzando invece quello in polvere), che garantisce il primato di produzione lattiero casearia all’Italia. Il gruppo francese in risposta alle proteste ha comunicato la sospensione del ritiro del latte da alcune stalle, anche se intanto, aggiunge Coldiretti, continua l’importazione di latte o derivati stranieri che poi finiscono in prodotti made in Italy, altro punto su cui da tempo gli allevatori chiedono chiarezza.

Ma la guerra del latte è solo uno dei fronti caldi di Lactalis, che in questi ultimi anni, in un piano per la riduzione dei costi fissi, ha chiuso stabilimenti italiani da Galbani a Parmalat, razionalizzando la produzione e facendo acquisizioni all’estero, oppure producendo direttamente fuori Italia, secondo le accuse dei sindacati, prodotti a marchio Parmalat. Le operazioni con la multinazionale di Collecchio poi, sono costate ai francesi non pochi guai in Tribunale. Solo a maggio del 2014, dopo oltre un anno, si è chiuso il procedimento civile sull’acquisizione da parte di Parmalat della società americana Lactalis American Group, considerata irregolare da alcuni soci di minoranza e dannosa per avere di fatto sottratto liquidità dalle casse del gruppo di Collecchio (il famoso tesoretto accumulato da Bondi con le cause alle banche del post crac).

La Procura di Parma aveva chiesto l’azzeramento del cda, che il Tribunale aveva negato pur riconoscendo gravi irregolarità nell’operazione. Poi i consiglieri sotto accusa aveva fatto un passo indietro, portando infine i giudici della Corte di appello di Bologna a dichiarare il non luogo a procedere mettendo fine alla questione. Ma l’acquisto di Lag rimane ancora un caso sotto la lente degli inquirenti, che sull’operazione avevano aperto un’inchiesta penale ipotizzando il reato di appropriazione indebita aggravata che si avvia alle ultime battute. Nel registro degli indagati nel 2012 vennero iscritti tra gli altri, il presidente Franco Tatò, l’attuale ad Yvon Guerin, gli amministratori Antonio Sala, Marco Reboa (fresco di iscrizione nel registro degli indagati per il caso Seat Pagine Gialle) e Francesco Gatti. E al tempo fu un altro terremoto per il gruppo, che a differenza del procedimento civile, come la “guerra del latte”, non è ancora finito.

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