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La Cassa Depositi e Prestiti potrebbe controllare Telecom Italia grazie all’emissione di nuove obbligazioni con valore fiscale. Stiamo assistendo a un disastro annunciato di una privatizzazione fallita: la storia di Telecom Italia, contesa da due finanzieri francesi (Vincent Bollore e Xavier Niel) è l’esempio perfetto del declino dell’Italia industriale, così ben descritto e profetizzato dal compianto Luciano Gallino. La Cassa Depositi e Prestiti, controllata dal Ministero dell’economia e dalle Fondazioni bancarie, potrebbe e dovrebbe intervenire per salvaguardare un’industria categoricamente strategica per l’economia italiana. La Cdp, guidata da Claudio Costamagna e da Fabio Gallia, rispettivamente presidente e ad, potrebbe “stampare nuova moneta fiscale” per riconquistare Telecom Italia e avviare finalmente una politica industriale degna di questo nome.

Telecom Italia è rimasto l’ultimo bastione dell'”italianità” nel campo strategico delle reti di telecomunicazioni: nel corso degli anni abbiamo ceduto tutte le società nel campo delle tecnologie avanzate di comunicazione. Vi ricordate Omnitel dell’Olivetti e Wind dell’Enel? Non esistono ormai più. Wind è oggi cino-russa e Omnitel è passata prima alla Mannesmann tedesca e poi alla Vodafone britannica.

Telecom Italia, per quanto indebolita e ridotta all’osso dai suoi passati azionisti – che l’hanno sfruttata per fare profitti finanziari senza svilupparla sul piano industriale – resta pur sempre l’unico bastione nazionale nel campo delle reti di Tlc. Ed è particolarmente importante – per non dire indispensabile – sia per quanto riguarda lo sviluppo dell’economia digitale e dei media in Italia, sia sul piano della sicurezza nazionale. Nessun grande paese europeo ha mai ceduto tutte le sue reti di Tlc a operatori stranieri. Anche paesi come India, Cina, Brasile e Argentina non si sognerebbero mai di cedere tutte le reti di Tlc a operatori esteri.

Il ruolo della Cdp, che è anche azionista di Metroweb, potrebbe essere fondamentale per difendere e sviluppare l’industria nazionale, e il governo di Matteo Renzi dovrebbe decidere di intervenire con vigore e determinazione (almeno se Renzi dimostrasse di sapere agire nella pratica con la stessa energia che mette nella sua retorica sull’Italia “uscita finalmente dalla crisi”). Senza grandi industrie tecnologiche e senza politiche industriali infatti non è possibile che l’Italia non precipiti nel novero dei paesi sottosviluppati appartenenti a quello che una volta si chiamava Terzo Mondo.

Ma come potrebbe Costamagna “stampare” nuovo denaro e finanziare così l’espansione della sua attività senza mettere a rischio 250 miliardi di risparmio postale? Non è necessario che ricorra al capitale dei fondi sovrani esteri. Potrebbe trovare le risorse nel nostro paese.

La soluzione concreta c’è: la Cdp potrebbe emettere delle obbligazioni con valore fiscale. Ovvero potrebbe siglare un accordo con l’amministrazione fiscale dello Stato e collocare sul mercato miliardi, o decine di miliardi, di obbligazioni a lunga scadenza in modo che queste, dopo 2-3 anni, possano essere eventualmente convertite a richiesta in sconto fiscale al loro valore nominale. Le nuove obbligazioni Cdp non creerebbero debito pubblico, perché è, come noto, al di fuori del perimetro pubblico. Inoltre, grazie alla garanzia statale sotto forma della opzione di convertibilità delle obbligazioni Cdp in crediti fiscali,  emetterebbe titoli a un prezzo ancorato a un valore certo (quello fiscale) e quindi non soggetto a forti oscillazioni, e con un rendimento basso ma assicurato. Queste obbligazioni sarebbero particolarmente convenienti per l’emittente, sicure per gli acquirenti e molto liquide. Lo Stato avrebbe, in cambio della sua garanzia fiscale, un credito verso la Cdp pari al valore dei titoli convertiti in “moneta fiscale”, cioè in sconti fiscali, più ovviamente un interesse.

Grazie al moltiplicatore keynesiano, particolarmente elevato in tempo di crisi – come dimostra lo studio di Olivier Blanchard, ex capo delle ricerche del Fondo Monetario Internazionale – gli investimenti della Cdp farebbero crescere notevolmente il Pil, e il gettito fiscale aumenterebbe in misura tale da più che compensare l’effetto negativo degli sconti fiscali sul budget statale.

Con la nuova moneta fiscale guadagnerebbero tutti: la Cdp, lo stato e soprattutto l’economia e l’industria italiana. Perché Costamagna e Renzi non decidono di trovare l’intesa per la nuova “moneta fiscale”?

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