E adesso ci insegnano che la religione è nemica dell’altruismo. Uno studio pubblicato sulla rivista Current Biology su un campione di 1.170 bambini, d’età compresa tra i cinque e i 12 anni, di sei Paesi (Canada, Cina, Giordania, Stati Uniti, Turchia, Sudafrica) rivela che “i bambini atei sono più altruisti di quelli religiosi”.

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Non voglio entrare nel merito di queste statistiche che, naturalmente, si basano su dati, ossia su quel mito dell’oggettività e del numero dietro cui troppo spesso si nascondono l’arbitrio e la massima discrezionalità. Voglio, invece, svolgere alcune considerazioni più generali e rilevare che la religione (cristiana come islamica) è oggi sotto assedio.

Per quale ragione? Semplice: nel mondo post-1989, ossia nel tempo del comunismo defunto, la religione rimane l’ultimo baluardo concreto contro il dilagare della mercificazione totale e del mercato reale e simbolico. Per questo, il capitale deve dichiarare guerra alla religione in ogni modo: presentando mediaticamente i preti come indistintamente pedofili, favorendo l’irriflessa identità tra religione e terrorismo, e ora demonizzando la religione come nociva per la formazione dei bambini.

L’obiettivo del fanatismo economico – l’unica religione oggi consentita e anzi promossa ubiquitariamente – è quello di accelerare il processo di “sdivinizzazione” (Heidegger), di modo che l’individuo senza identità, senza famiglia, senza valori e anche senza religione sia integralmente plasmato dal capitale e dalla sua fantasmagorica macchina dei desideri.

Altro che “altruismo”! L’integralismo dell’economia e dei consumi persegue l’obiettivo opposto, l’isolamento e l’individualismo ebete, di modo che si adempia la profezia per cui “la società non esiste”: nessuna comunità, solo atomi disaggregati e in competizione, connessi dall’insocievole socievolezza dello scambio mercantile di matrice utilitaristica.

Ovviamente il ceto degli intellettuali – che non crede in nulla e parla di tutto – è saldamente dalla parte della sdivinizzazione. Si pensi anche solo alle omelie atee di Scalfari su “Repubblica” o al fanatismo antireligioso di Odifreddi.

L’armata Brancaleone dei cosiddetti “laicisti” si illude che il gesto più emancipativo che possa darsi sia la ridicolizzazione del Dio cristiano (o, alternativamente, la soppressione del crocifisso dalle scuole).

Essi non cessano di contrastare tutti gli Assoluti che non siano quello immanente della produzione capitalistica, il monoteismo idolatrico del mercato: il laicismo integralista, in ogni sua gradazione, si pone come il completamento ideologico ideale del fanatismo del mercato; in cui The Economist diventa L’Osservatore Romano della globalizzazione capitalistica e le leggi imperscrutabili del Dio monoteistico divengono le inflessibili leggi del mercato mondiale. Come ogni monoteismo, anche quello del mercato pretende di essere il solo e di neutralizzare ogni concorrente.

Capirà mai l’armata Brancaleone dei laicisti che la lotta contro il Dio tradizionale è, essa stessa, uno dei capisaldi dell’odierna mondializzazione capitalistica, la quale si regge appunto sulla neutralizzazione di ogni divinità non coincidente con il monoteismo mercatistico?

Quando capiranno che l’ateismo, oggi, ha come matrice principale non certo l’aumento della conoscenza scientifica, ma il processo di individualizzazione anomica che disgiunge l’individuo da ogni sostanza comunitaria? E, ancora, che la “morte di Dio” da loro salutata con entusiasmo corrisponde al momento tragico della perdita di ogni valore in grado di contrastare il dilagante nichilismo della forma merce?

Non è un caso che Nietzsche annunciasse nella “Gaia scienza” (§ 125) la morte di Dio in quel luogo tutt’altro che neutro che è il mercato.

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