Sia nel progetto definitivo che in quello esecutivo “non è stato considerato” che con gli scavi la frana quiescente “si sarebbe potuta riattivare”. Poteva accadere, anzi, era “sia possibile che probabile“. Ma Autostrade per l’Italia nel 2004, al momento di decidere la realizzazione della galleria Val di Sambro della Variante di valico, non mise in campo un monitoraggio sufficiente a valutare l’impatto che i lavori avrebbero avuto sulla montagna. Ad appena un giorno dalla notizia che i consulenti della Procura di Bologna hanno depositato le loro conclusioni sulla vicenda della frana di Ripoli, ecco spuntare una nuova perizia sulla stessa galleria. È uno studio terminato a giugno 2015 e richiesto dal Tribunale civile di Roma, che delinea con maggiore chiarezza le responsabilità nella progettazione dell’opera. I periti romani sembrano non avere dubbi anche su un altro punto: scavare il tunnel più in profondità sarebbe costato di più, ma avrebbe dato meno problemi. Anche perché, come si può vedere da alcune immagini (foto 2, 3) scattate all’interno della struttura prima dell’estate, il cemento presenta già delle spaccature. E l’opera non è stata ancora aperta al traffico.

Questo è solo l’ennesimo capitolo di una lunga storia finita già perfino in un film per il cinema. Dal 2010 gli scavi hanno fatto muovere il paese appenninico di Ripoli: famiglie sgomberate, una chiesa sbarrata, crepe sui muri, espropri, un viadotto della vecchia A1 che passa a monte del paese che ha iniziato a muoversi e ancora non si è fermato.

Quando il presidente del Consiglio Matteo Renzi a novembre 2014 era arrivato per l’abbattimento dell’ultimo diaframma della Val di Sambro, per i ripolesi nemmeno una parola. La grande opera, che dovrebbe unire Firenze e Bologna affiancando la A1, è attualmente il più importante cantiere nazionale, ma per questi montanari ha significato solo disagi. Intanto un’inchiesta della Procura bolognese aperta da anni non ha mai portato a nessun indagato e a trovare responsabilità penali precise.

Ora però la perizia romana mette qualche punto fermo nella vicenda. Le frane hanno riguardato non solo la parte del traforo sotto Ripoli ma tutti i 4 chilometri, compresi quelli scavati dalla Rti (raggruppamento temporaneo di imprese) Toto-Vianini-Profacta. La Rti aveva avuto in appalto da Autostrade la costruzione dei lotti 6-7 di cui fa parte la metà sud della galleria Val di Sambro (la metà nord, quella su cui poggia Ripoli, è stata scavata dalla coop Cmb). Ma quando con gli scavi sono iniziate le frane, la Rti aveva chiesto, per vie legali, ad Autostrade un adeguamento del compenso, visti i maggiori costi di scavo dovuti alle frane non previste. Ora sarà il giudice a decidere chi ha ragione nella vicenda. Contattate da ilfattoquotidiano.it, Autostrade e la Rti al momento non hanno commentato.

I periti del giudice però sembrano invece avere già alcune idee chiare. Nel luglio 2004 viene presentato il progetto definitivo della galleria (redatto da Spea, società di Autostrade) con allegata una relazione geologica, che riconosce la presenza di “estesi movimenti franosi quiescenti”, ma tranquillizza: “Il tracciato della galleria risulta sufficientemente profondo da sottopassare tali grandi frane”. Ma, secondo i periti, nel progetto definitivo non ci fu “un monitoraggio geotecnico strumentale dell’area in esame e la conseguente valutazione, in base ai risultati del monitoraggio, dell’impatto degli scavi”. Tradotto: Spea non usò strumenti tecnici (inclinometri, piezometri, elementari per qualunque geologo) indispensabili per misurare “con certezza” lo stato delle frane. Si fecero soltanto “sopralluoghi e foto-interpretazione”.

Secondo i periti del giudice di Roma anche la Rti che tra il 2007 e il 2008 fece il progetto esecutivo avrebbe dovuto “monitorare l’area”, installare inclinometri. Avrebbe dovuto farlo anche a costo di chiedere 6 mesi in più rispetto ai 6 concessi da Autostrade nell’appalto per la presentazione del progetto. Morale: sia nel progetto definitivo che in quello esecutivo “non è stato considerato” che con gli scavi la frana quiescente “si sarebbe potuta riattivare”.

Lo scorso marzo in Senato, Giovanni Castellucci, amministratore delegato di Autostrade, aveva ammesso un raddoppio dei costi della Variante di valico da 3,5 a 7 miliardi di euro: “La Variante – aveva detto – è stata progettata negli anni 90 (la privatizzazione è del 1999, ndr), io non c’ero, sicuramente col senno di poi oggi la progetteremmo in maniera differente, più in galleria e più profonda”. Ora i periti del tribunale di Roma dicono che fino al 2007-2008 (ben oltre gli anni 90) un monitoraggio più approfondito avrebbe portato a scoprire che la possibile riattivazione delle frane era “sia possibile che probabile” e “che se considerata avrebbe probabilmente indotto a fare scelte progettuali diverse”.

E qui si arriva alla storia del tracciato alternativo proposto dalla Rti ed evocato in Senato anche da Castellucci (“… la progetteremmo in maniera differente, più in galleria e più profonda”). Nel 2010, quando la montagna aveva iniziato a muoversi, la Rti aveva suggerito ad Autostrade di fare un’unica galleria che comprendesse sia la Val di Sambro che la vicina Sparvo. Peraltro anche questa galleria dal 2013 è interessata da problemi di frane e di rotture del rivestimento interno ed è oggi blindata con degli avveniristici anelli d’acciaio (vedi foto 5, 6, 7, 8). La proposta era un unico tunnel che andasse più in profondità nella montagna. Ma la società di Castellucci, Autostrade, disse no.

Sarebbe stato meglio fare quella lunga galleria? Di certo, rispondono ora i periti, ci sarebbe stato un aumento dei costi complessivi dell’opera. Tuttavia “il contesto geologico e geo-morfologico” sarebbe stato meno problematico e la “durabilità” (la garanzia di durare per l’intero periodo per il quale la galleria è stata progettata) sarebbe dipesa solo da come l’opera veniva costruita e non dall’incognita delle frane.

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