Un “incentivo” di 25 centesimi a chilometro per chi sceglierà la bici invece dell’auto per andare al lavoro: succede a Massarosa, cittadina di poco più di 22mila abitanti in provincia di Lucca, dove l’amministrazione ha presentato un’iniziativa che in quanto a innovazione ed ecosostenibilità nulla ha da invidiare a quelle di metropoli come Amsterdam e Copenaghen, veri e propri paradisi per gli amanti della bicicletta, e Parigi, prima a proporre il bike sharing nell’ormai lontano 2006 e dove nei giorni scorsi il ministro dell’Ecologia, Ségolène Royal, ha annunciato la stessa identica intenzione dell’assessore ai Trasporti di Massarosa, Stefano Natali. Ovvero, “ricompensare” i cittadini più green e sportivi, che alle quattro ruote – o alle due, ma motorizzate – preferiscono pedalare per andare e tornare dal posto di lavoro, con un bonus esentasse erogato dall’azienda per cui lavorano, che potrà poi usufruire di agevolazioni fiscali.

50 persone parteciperanno alla fase sperimentale: 0,25 euro al km in più in bustapaga, fino a un massimo di 50 euro, per chi va al lavoro pedalando

Una decisione che fa di Massarosa davvero una mosca bianca nel panorama nazionale, e che secondo le stime potrebbe portare nelle tasche di chi aderisce 50 euro in più al mese, che è poi il tetto massimo di rimborso a persona. Al momento l’iniziativa è ancora a livello sperimentale, un po’ come accadde nel 2014 a Parigi, quando l’allora ministro dei Trasporti, Frédéric Cuvillier, istituì un periodo di 6 mesi in cui i lavoratori/ciclisti potevano usufruire del bonus nelle stesse modalità elencate dalla Royal pochi giorni fa. Se però dovesse avere successo, non è escluso che il progetto di Massarosa possa trasformarsi in qualcosa di più concreto: all’esperimento parteciperanno 50 persone selezionate con un bando comunale, che registreranno i chilometri percorsi (e il conseguente ritorno economico) attraverso autocertificazioni e soprattutto un’app gratuita, ulteriore segnale di innovazione da parte di un’amministrazione che sembra decisa a premiare i cittadini virtuosi, come già ha fatto quando ha deciso di ridurre la tassa sui rifiuti del 50% per chi contribuisse a tenere pulite strade e aree verdi e portasse a termine altri lavori di pubblica utilità.

A livello europeo, i riflettori sono puntati sulle biciclette da molti anni: in Belgio gli incentivi economici per chi la utilizza per andare a lavorare (il cosiddetto “bike to work”) sono stati istituiti già nel 1997, e sono sempre di più le città europee, da Madrid a Berlino, passando per Strasburgo e Utrecht (new entry nella classifica delle città più “bike friendly” stilata dalla Copenhagenize Design Company, in cui non c’è traccia dell’Italia), che hanno preferito questo mezzo di trasporto alle auto, costruendo chilometri di piste ciclabili, aumentando le rastrelliere e le zone per il bike sharing e non risparmiando multe a chi non rispetta le corsie riservate alle due ruote.

In Italia, gli incentivi alla eco-mobilità sono pochi, nonostante lo scorso anno il governo abbia approvato, nell’ambito della Legge di Stabilità, varie iniziative in sostegno della green economy e previsto uno stanziamento di 35 milioni di euro per il 2015 per “la realizzazione del programma sperimentale nazionale di mobilità sostenibile casa-scuola e casa-lavoro”, che dovrebbero servire a finanziare progetti provenienti da Comuni con popolazione superiore ai 100mila abitanti che incentivino iniziative di mobilità sostenibile.

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Milano, per esempio, pur avendo registrato un vero e proprio boom nell’utilizzo delle bici, soprattutto nel periodo di Expo dove in tantissimi hanno scelto il servizio di bike sharing BikeMi, oggi conta su 182 chilometri di piste ciclabili (nella foto, l’assessore Maran, a destra, mostra la mappa) che però non sempre sono collegate fra loro e il cui utilizzo è reso difficile dalla reciproca intolleranza tra ciclisti e automobilisti. Curioso, poi, il caso di Genova, che alla costruzione di un sistema di piste ciclabili urbano ha destinato 1,3 milioni di euro stanziati dal ministero dell’Ambiente, ma che ha causato  proteste da parte di autisti, automobilisti e ciclisti per la “pistina” spuntata lo scorso luglio nel bel mezzo di via XX Settembre, una delle arterie più trafficate della città, tracciata solo su un lato, per giunta lo stesso dove passano gli autobus.

Se il lavoratore sceglie autonomamente di usare un ‘mezzo a rischio’ per recarsi al lavoro, se ne assume le responsabilità, spiega l’Inail

In quest’ottica, prevedere incentivi economici per chi usa la bici come mezzo di trasporto da e verso il luogo di lavoro sembra effettivamente utopia. Non soltanto per la morfologia delle città italiane, la mancanza di infrastrutture e la difficile convivenza tra automobilisti e ciclisti (causata probabilmente dallo scarso senso civico di entrambe le categorie), ma perché a complicare tutto ci si mette anche l’Inail, che si occupa di infortuni sul lavoro e per cui vige il principio di “rischio elettivo”. Se è vero che il lavoratore è coperto da assicurazione nel tragitto per e da il posto di lavoro, è anche vero che se sceglie autonomamente, e non perché costretto da cause di forza maggiore, di utilizzare un mezzo considerato “a rischio” (come appunto la bicicletta), si prende tutta la responsabilità di essere coinvolto in eventuali incidenti.

“La nostra norma prevede copertura degli infortuni in itinere (ovvero nel tragitto casa-lavoro e viceversa, ndr) quando l’uso del mezzo privato è una necessità, e cioè nel caso in cui il lavoratore sia costretto a sceglierlo se la distanza dal luogo di lavoro è superiore a un chilometro, se i mezzi pubblici non passano abbastanza spesso, o se per esempio il tempo che impiegherebbe ad andare e tornare dal lavoro fosse tale da sottrarlo agli obblighi familiari. In quel caso, l’utilizzo della bicicletta, come della macchina, è contemplato e un eventuale infortunio coperto”, spiega al Ilfattoquotidiano.it Tiziana Gibiino, responsabile dell’ufficio normativo di Inail, aggiungendo però che nel caso della bicicletta c’è un ulteriore dettaglio a fare la differenza: “Se l’infortunio avviene su una pista ciclabile, l’utilizzo della bicicletta è considerato sempre necessitato, e dunque l’infortunio coperto”. Ma la normativa, siamo pur sempre in Italia, va comunque interpretata e adattata caso per caso. Insomma, perché l’Italia diventi un paese per ciclisti c’è da percorrere ancora parecchia strada.

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