La stretta sul turnover nella pubblica amministrazione mette a rischio i livelli minimi dei servizi forniti ai cittadini. E i tagli da 17 miliardi di tagli in tre anni imposti alle Regioni potrebbero rivelarsi non praticabili. Ma suscita dubbi anche il mancato aumento dei fondi per la sanità e non mancano gli interrogativi sugli effetti dell’abolizione della Tasi, dell’Imu agricola e di quella sugli imbullonati per le casse dei Comuni, sul gettito che potrà effettivamente arrivare dal canone Rai in bolletta e sulla praticabilità di ulteriori sforbiciate ai patronati. A mettere in fila tutte le perplessità sui contenuti della legge di Stabilità sono i tecnici di Camera e Senato, in un corposo dossier reso pubblico nel giorno in cui la manovra inizia il proprio iter a Palazzo Madama. Il servizio Bilancio alza invece le braccia davanti all’innalzamento da mille a 3mila euro del tetto all’uso del contante: “non appare allo stato possibile formulare valutazioni precise e fondate in merito alle conseguenze sui saldi di finanza pubblica”, visto “il reiterarsi degli interventi in materia nel breve periodo ed il loro procedere in direzioni talvolta contrapposte” e “in assenza di valutazioni specifiche in merito all’impatto finanziario della misura”.

Con il blocco dei reclutamenti difficile garantire i livelli minimi di servizio – La Stabilità prevede che la pubblica amministrazione nel 2016, 2017 e 2018 possa spendere per le nuove assunzioni solo il 25% dei risparmi conseguiti l’anno precedente. Un “irrigidimento“, notano i tecnici, sulla cui “effettiva e piena sostenibilità” servirebbero “adeguate rassicurazioni”, visto che “negli anni più recenti, le amministrazioni hanno subito già un blocco drastico dei reclutamenti che potrebbe averle già messe nella condizione di non poter assicurare i livelli minimi di servizio“. Discorso simile per quanto riguarda la stretta sugli acquisti: nel dossier si evidenzia che andrebbe verificata la “comprimibilità” delle spese “e quindi la realizzabilità dei risparmi attesi”: c’è il rischio che “l’innalzamento dei risparmi da conseguire nel 2015 e dal 2016, risulti incompatibile” con i “fabbisogni necessari ad assicurare i livelli minimi di funzionamento”. In materia di pubblico impiego, riguardo allo stanziamento da 300 milioni per il rinnovo dei contratti degli statali “la relazione tecnica si limita ad indicare l’importo annuo lordo destinato al finanziamento degli aggiornamenti economici del personale cosiddetto “contrattualizzato”, distintamente da quello invece destinato al personale non contrattualizzato”, ma “sarebbe utile acquisire una prima stima dell’importo pro capite, lordo e netto, e in ragione mensile ed annua, degli incrementi retributivi che saranno consentiti”.

Il governo deve valutare la “praticabilità” dei 17 miliardi di tagli alle regioni – Nel triennio 2017-2019 “viene chiesto complessivamente alle regioni di conseguire nuovi risparmi per oltre 17 miliardi di euro“, notano i tecnici. Uno sforzo talmente titanico che “sarebbe utile una valutazione del governo in merito alla sua effettiva praticabilità”. I margini sono “ristretti”, perché i governatori sono “tenuti all’erogazione del contributo nel rispetto del finanziamento dei livelli essenziali di assistenza” in sanità. Tanto più, ricorda il servizio Bilancio, che già con il decreto Irpef dello scorso anno, “i cui effetti non sembrano venuti meno”, si è chiesto “un contributo” alle Regioni, cui si sommeranno “gli ulteriori risparmi di spesa che dovrebbero discendere dall’applicazione della regola del pareggio di bilancio“. Un ulteriore problema deriva poi dal fatto che le Regioni sono tenute ad accollarsi le funzioni non fondamentali di Province e Città metropolitane. “Tale circostanza potrebbe determinare in capo alle Regioni l’assunzione di oneri pur in assenza delle dovute risorse a copertura, con possibili effetti sugli equilibri di bilancio dell’ente”, scrivono i tecnici. Sul fronte delle società partecipate, poi, servono “approfondimenti” per quanto riguarda le “cinque fasce di limite massimo retributivo” previste per gli amministratori, dirigenti e dipendenti” e sulla “platea dei soggetti coinvolti con un’indicazione di massima dei possibili effetti di risparmio“.

Rischio di “tensioni” per la sanità. Sotto la lente le sforbiciate ai patronati – Per quanto riguarda il sistema sanitario, il documento rileva che il livello del Fondo per il 2016 era già stato “ridotto in misura pari a circa 2,5 miliardi di euro rispetto al tendenziale a legislazione vigente”. Di conseguenza “l’ulteriore decremento” nel 2016 “potrebbe creare tensioni lungo tale linea di finanziamento”. Tuttavia, viene evidenziato che “in valore assoluto la dotazione del Fondo sanitario nazionale crescerà di circa 1,3 miliardi rispetto al 2015 e che la centralizzazione delle procedure di acquisto di beni e servizi, prevista dall’articolo 31 del provvedimento, dovrebbe consentire la razionalizzazione di tale voce di spesa, facilitando il conseguimento di risparmi“. Andrebbe poi “attentamente ponderata la effettiva praticabilità di ulteriori riduzioni degli stanziamenti” per i patronati, per i quali la manovra riduce i fondi di 48 milioni, “alla luce dei ripetuti interventi già operati in precedenza sul medesimo stanziamento”.

Con taglio Tasi meno spazio di manovra per i sindaci – Quanto all’eliminazione della Tasi e dell’Imu agricola, non basta che i sindaci siano stati compensati con fondi equivalenti a quanto perderanno: questa scelta “può determinare un irrigidimento dei bilanci in quanto si limita la possibilità di manovra dei Comuni a valere sulle proprie entrate, a scapito della voce maggiormente rigida e fissa del fondo in esame”. In più, si legge nel documento, “andrebbe chiarito” se “l’utilizzo delle disponibilità in conto residui iscritte in bilancio per l’anno 2015, relative al Fondo per assicurare la liquidità per pagamenti dei debiti certi, liquidi ed esigibili, per 390 milioni di euro, non determina l’alterazione di effetti d’impatto già scontati nei tendenziali di spesa”. In aggiunta, appaiono sottostimate le minori entrate che deriveranno dall’esenzione dei macchinari imbullonati dall’Imu: “Il valore di minor gettito complessivo, indicato in 530 milioni di euro, sembra approssimare per difetto l’importo della perdita di gettito che nella sua componente complessiva, nonché suddivisa in Imu e Tasi, fornisce una stima totale pari a circa 603 milioni di euro”, si legge nel dossier. I tecnici stimano invece “una perdita di gettito totale, a solo titolo di Imu, pari a circa 806 milioni di euro“.

Sul canone in bolletta rischio contenziosi – Non convince nemmeno la quantificazione del gettito atteso dal pagamento del canone Rai in bolletta. Nel dossier si richiedono dati “aggiornati in tema di evasione/inadempimento e morosità” sia del canone sia della bolletta elettrica, per “escludere eventuali ricadute sul gettito in dipendenza del grado di morosità nel pagamento delle utenze elettriche”. I tecnici, inoltre, chiedono di poter vedere le analisi in base alle quali è stato deciso di abbassare il canone da 113,5 euro a 100. “Sarebbe utile – sottolinea il servizio Bilancio – poter disporre della stima operata in merito, anche al fine di verificare se sia tenuto conto dell’impatto, sul gettito atteso, di eventuali contenziosi in relazione ad incertezze applicative che potrebbero derivare dalla nuova presunzione legale di possesso di apparecchio televisivo e dagli obblighi posti a carico di soggetti privati e non privi di rilevanza economica”, si legge nel dossier.

I dubbi sulle coperture – Infine non mancano i punti di domanda sulle coperture. Per quanto riguarda gli introiti della voluntary disclosure, la stima fatta nella relazione tecnica della Stabilità “non parrebbe avallata dalla previsione di una clausola di salvaguardia (un aumento delle accise su alcol e tabacco, ndr) che, di per sé, palesa il rischio che possano verificarsi scostamenti (in tutto o in parte) rispetto alla previsione di dette entrate”. “Appaiono quindi necessarie – scrivono i tecnici – maggiori informazioni in merito. In ogni caso si rappresenta che la prevista clausola di salvaguardia appare necessaria in ottica prudenziale” ma “si evidenzia che la materia delle accise è stata interessata da diversi interventi normativi recenti che, in alcuni casi, per far fronte agli oneri finanziari pluriennali associati, hanno disposto anche rimodulazioni delle aliquote, da determinarsi in futuro con provvedimenti attuativi e con impatto in esercizi finanziari a venire, in relazione ad obiettivi di gettito prefissati da conseguire”. Non convince neanche la stima sul gettito che dovrebbe arrivare dall’aumento del prelievo sui giochi: gli effetti finanziari si basano sul presupposto che “l’ammontare di raccolta che ha avuto luogo nell’anno 2014 sia destinato a rimanere costante nel triennio 2016-2018, pur in presenza del previsto aumento del Preu (prelievo erariale unico, ndr). In assenza di specifiche motivazioni atte a supportare tale assunto, si rileva che tale andamento non appare affatto certo”.

Clausole di salvaguardia basate su valutazioni superate – Quanto alle clausole di salvaguardia, cioè l’aumento automatico di Iva e accise che scatterà dal 2017 se il governo non troverà coperture alternative, “si osserva che l’impatto finanziario delle rimodulazioni delle aliquote si basa sulle stime operate nelle relazioni tecniche associate ai provvedimenti originari” e “la quantificazione, nella parte in cui assume il dato come costante nel tempo, non parrebbe tener conto dell’impatto che la significativa variazione delle aliquote Iva a regime (l’aliquota Iva ordinaria passa dal 22 al 25% e quella ridotta dal 10% al 13%) potrebbe determinare sulla domanda di acquisto dei beni per i quali l’imposta trova applicazione, e conseguentemente sul gettito atteso”. Un punto certo non secondario, visto che “la manovra riguarderà prezzi di beni e servizi relativi a quasi l’80% della spesa per consumi”.

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