ortoIl suo orto lo aspettava ogni giorno alla stessa ora. Attorno le luci delle case davano di sobrio e di risparmio energetico. Un’occhiata ai pomodori, alle zucchine, e poi subito ad aprire il sistema d’irrigazione automatico costruito in casa…hausegemakt – inventato da lui. La botte del compost era quasi piena, ma poteva ancora aspettare. Giuseppe, chef della più grande impresa di costruzioni stradali della Svizzera orientale, aspettava ogni giorno quell’attimo. Quello in cui ti siedi sulla sdraio nel patio del piccolo prefabbricato dell’orto, con una birra in mano ed i sogni che come insetti ti ronzano attorno.

Pugliese, di Terlizzi, la Sanremo della Puglia, Giuseppe ha pensato alla sua terra ogni giorno, da quell’orto sul lago di Costanza dove il sole batteva raramente. A lavoro finito, ogni italiano di quella generazione non torna a casa, ma si reca nel suo orto, un piccolo spazio concesso dal Comune nel quale ognuno riproduce un pezzo di Patria, un pezzo di anima. Gli orti dei sogni, sono luoghi magici e chi ha avuto la fortuna di frequentarne qualcuno, a Zurigo, a Francoforte o in qualsiasi posto pieno di lavoratori Italiani, vi incontra un frammenti di Paese vero, autentico.

Una Expo perpetua che esiste lì da decenni e che nessuno ha mai valorizzato a dovere. Gli orti sono sempre multietnici, in Svizzera soprattutto li vedi terrazzati in centro o in zone accanto ai complessi industriali. Sono dappertutto e li riconosci dalle bandiere che sventolano sui prefabbricati dove gli emigrati tengono i propri attrezzi, un frigo per la grigliata della domenica e qualche poltroncina per simulare la casetta in campagna. In cima sventolano i loro sogni sotto forma di bandiere, mai logore e sempre a punto. Sono la macchina del tempo in cui si rifugiano le ore del dopo lavoro, di questi uomini e donne, che vi piantano di tutto, dalle verdure e legumi ai fiori tipici della propria terra di origine. Giuseppe ha costruito ponti, asfaltato autostrade, bucato montagne per vedervi spuntare gallerie. Ha lavorato sodo ed ha chiuso la sua carriera come chef, capo cantiere. Ha manovrato mezzi mastodontici ed addestrato generazioni di operai di tutte le nazionalità. Fisicamente resta una roccia anche superati i settanta, ed i suoi figli oggi sono sistemati in occupazioni di rilievo in Italia ed all’estero.

Quando il proprietario dell’impresa ha festeggiato il pensionamento di Giuseppe assieme a tutti gli operai, gli ha chiesto ha cosa volesse in regalo dalla Ditta come premio per il lavoro di oltre 40 anni. Tutti si aspettavano che questo operaio pugliese chiedesse un bonus, insomma qualcosa che potesse fare cassa. Giuseppe invece chiese, ottenendola una piccola pala meccanica ultramoderna smart, di quelle che utilizzava negli ultimi anni. Con quella pala, lo chef in pensione ha finito di costruire la sua casa a Terlizzi, dove oggi coltiva ettari di vigne ed uliveti. Non ha più bandiere in cima al tetto ed i suoi sogni ronzanti si sono trasformati in bimbi vocianti che affollano il cortile, i suoi numerosi nipoti. La vita nell’orto dei sogni ormai è un ricordo e Giuseppe svetta con la sua cinquecento ristrutturata in giro per la Puglia con il club degli appassionati.

La sua cinquecento bianca e luccicante come un gioiello ha una piccola valigia montata sul cofano posteriore, quella di uno dei suoi tanti viaggi tra Zurigo e Terlizzi. Funziona ancora, meglio di una fuori serie. Ho sempre pensato che se avessero affidato a Giuseppe ed alla sua squadra il compito di finire la Salerno – Reggio Calabria, la avrebbero ultimata in due mesi, lavorando durante le loro ferie estive. Ma questa è un’altra storia.

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