Matteo Renzi ha dato un primo indizio il 15 ottobre, quando con 25 tweet ha presentato a grandissime linee i contenuti della legge di Stabilità che era stata appena approvata dal Consiglio dei ministri. “Spese informatiche. Comprare meno prodotti, usare meglio i dati”, recitava uno dei cinguettii. “Rivoluzione digitale fa risparmiare“. Detto, fatto. Dal testo definitivo della manovra, approdato lunedì al Senato, emerge che la spending review messa in campo dal governo passa – oltre che per gli ennesimi tagli semilineari ai ministeri e la sforbiciata a Regioni e sanità – per un drastico calo delle spese sostenute dalla pubblica amministrazione per “gli acquisti di beni e servizi in materia informatica”. Quindi computer, software ma anche servizi di connettività e traffico datiL’articolo 29 del disegno di legge prevede infatti che tutti gli approvvigionamenti vengano fatti tramite la centrale acquisti Consip o altri soggetti aggregatori in modo da centrare un “obiettivo di risparmio” del 50% rispetto alla spesa annua media del triennio 2013-2015. Spesa che però è talmente frammentata che nemmeno i tecnici della Ragioneria generale dello Stato, nello scrivere la relazione tecnica che accompagna il testo, sono riusciti a quantificarla. Per i dirigenti, l’unica scappatoia consisterà nel firmare una “apposita autorizzazione motivata” in cui a proprio rischio attestano che il bene o servizio disponibile sulla piattaforma Consip “non è idoneo al soddisfacimento dello specifico bisogno dell’amministrazione”.

La scelta sembra difficilmente compatibile con i progetti di Renzi e del ministro Marianna Madia in tema di modernizzazione della pa, con il piano Crescita digitale presentato lo scorso marzo, che prevede “l’accesso alla banda ultra larga di tutti gli edifici e uffici pubblici”, e con l’obiettivo di lanciare a breve lo Spid, cioè il Sistema pubblico per la gestione dell’identità digitale che dovrebbe consentire ai cittadini di accedere online a tutti i servizi della pubblica amministrazione. Non solo: proprio oggi a Roma il ministro dell’Istruzione Stefania Giannini ha presentato trionfalmente, alla presenza del consigliere per l’innovazione del presidente del Consiglio Paolo Barberis, il “Piano nazionale per la scuola digitale”. E tra poco meno di un mese si terrà a Venaria il Digital Day per presentare il “piano per l’industria 4.0”, che dovrà trovare sponda in una pa adeguata ai tempi.

Il 45% della pa locale accede al web con il vecchio doppino di rame – Insomma: da un lato il premier e i ministri presentano agli italiani il libro dei sogni sulla pa del futuro, dall’altro i dirigenti statali si preparano a fare i conti con il rischio di essere chiamati a rispondere per danno erariale se non si adegueranno all’obbligo di risparmiare la metà di quel che hanno speso finora per connettersi a internet e ammodernare un “parco macchine” non certo all’avanguardia: stando a un libro bianco dell’osservatorio Netics sull’infrastruttura it della pa italiana, “l’età media del parco pc è vicina ai 5,5 anni” e “poco meno della metà del parco software è scritto in linguaggi ormai obsoleti“. E la cronaca racconta che in più di un’occasione i sindacati di polizia hanno denunciato che gli agenti devono “autotassarsi” per finanziare l’acquisto di computer nuovi. Dal canto suo l’Agenzia per l’Italia digitale, la cui ex direttrice Alessandra Poggiani si è dimessa a marzo lamentando lo stallo delle attività, calcola che il 15% dei centri elaborazione dati della pa centrale e il 50% di quelli locali “non dispongono di un sistema per il controllo degli accessi”. Quanto alle connessioni a internet, il 45% della pubblica amministrazione locale accede ancora alla rete tramite il doppino telefonico

E la spesa è un mistero anche per Cottarelli – Infine, suscita qualche interrogativo il fatto che non venga nemmeno stimato l’ammontare dei risparmi che si conta di ottenere con questo intervento: le tabelle che cifrano gli effetti della manovra sulla finanza pubblica non associano alcun numero alle misure previste dall’articolo 29. Per svelare l’arcano però basta sfogliare il saggio La lista della spesa dell’ex commissario alla spending review Carlo Cottarelli. “A quanto ammontano le spese per l’Ict attualmente? La ricognizione che ho fatto (…) dà una spesa di circa 3 miliardi per tutta la pubblica amministrazione. Tuttavia, questa è probabilmente una sottostima perché molte amministrazioni attribuiscono codici inappropriati alle spese per l’Ict. Stime campionarie suggeriscono una spesa di 5-6 miliardi. Alcuni stimano che si superino i 10 miliardi. Ovviamente sarebbe utile avere dati più precisi“. Ecco perché l’ammontare del risparmio è impossibile da quantificare. Lo stesso Cottarelli, nelle proposte finali presentate al governo prima di essere defenestrato, si era limitato a ipotizzare un risparmio di 300 milioni ottenibile con la razionalizzazione dei centri elaborazione dati riducendoli dagli attuali 1.100 a 60.

Il caso della gara Consip per la connettività: sconto solo apparente – Peraltro, in questo campo non è sempre vero che le convenzioni Consip siano molto più convenienti del libero mercato. Per esempio nel 2014 la Tiscali di Renato Soru si è aggiudicata la gara per il Sistema pubblico di connettività (Spc), cioè la fornitura di collegamenti Internet a tutti gli uffici pubblici, per i prossimi sette anni con un ribasso dell’89%, accontentandosi di un totale di 265 milioni. Ma, come raccontato da Il Fatto Quotidiano, per farlo ha offerto un forte scontro su alcune voci del paniere predisposto dalla centrale acquisti mentre per la “banda riservata” ha chiesto sette volte in più di quanto voleva la concorrente Fastweb. Peccato che proprio la banda riservata sia destinata a pesare sempre di più sui consumi della pa, se verrà attuato il piano per la Crescita digitale. E già con l’uso di banda attuale la pubblica amministrazione è destinata a pagare tra gli 1,2 e gli 1,3 miliardi contro i 265 milioni promessi. 

Confindustria digitale: “Incomprensibile dallo stesso governo che ha varato strategia per banda larga” – Quel che è certo è che i tagli incideranno pesantemente sul comparto high-tech italiano, che dopo anni di buio sta iniziando a rialzare la testa. L’ultimo rapporto di Assinform, l’Associazione che riunisce le imprese del settore di Confindustria, prevede per il 2015 una crescita dell’1,3%, mentre Assintel (Confcommercio) stima per il mercato It un progresso dell’1,7%. Per consolidare la crescita, però, Assinform chiedeva pochi mesi fa tramite il direttore Antonello Busetto “l’avvio della digitalizzazione della pubblica amministrazione”, un po’ come sta succedendo in Francia con il lancio del piano “Ambition Numerique” varato dal primo ministro francese Manuel Valls. Invece ora arrivano i tagli. Il presidente di Confindustria Digitale, Elio Catania, ha commentato la notizia notando che “non sembra possa essere lo stesso governo che nei mesi scorsi ha promosso il piano Crescita Digitale e la Strategia per la Banda ultralarga e ora ordina alle Pa di tagliare del 50% la spesa in tecnologie informatiche”. La visione che sta dietro alla norma, per Catania, è “incomprensibile”, in primo luogo perché “è in contrasto con le politiche di crescita e sviluppo dell’occupazione, di cui il digitale è il motore principale, e in aperta contraddizione con gli impegni sull’innovazione sin qui presi dal Governo. Secondo, perché tagliare la spesa nelle nuove tecnologie significa tagliare proprio lo strumento principale per operare una spending review strutturale e mettere in efficienza la Pa, con tutti i benefici di cui proprio in queste ore si sta parlando, come per la trasparenza e il contrasto all’evasione fiscale”. Poi l’auspicio che “si sia trattato di una svista di percorso destinata a non lasciare traccia nella legge di Stabilità che verrà licenziata dal Parlamento”.

di Chiara Brusini e Luigi Ferro 

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