Alla fine Matteo Renzi ha realizzato il sogno di Renato Brunetta. L’ex ministro berlusconiano ha sempre sofferto molto quando arrivava il momento di mettere mano al portafogli per pagare la vecchia Imu e poi la Tasi. Dal prossimo anno, almeno, riuscirà a evitare l’imposta sulla sua villa romana in zona Ardeatina, grazie a Matteo Renzi.

Quando c’era ancora quella sanguisuga del governo Monti, il capogruppo di Forza Italia aveva pagato addirittura 2 mila e 750 euro per la sua villa con piscina e altri 7 mila euro circa per le altre ville e villette sparse per l’Italia, da Ravello in Campania a Montecastello di Vibio, un paesino vicino a Todi in Umbria, passando per la natia Venezia e per Riomaggiore nelle Cinque Terre. Nel 2012 uscendo dalla banca sfinito dal salasso, Brunetta consegnò il suo grido di dolore a La Zanzara di Radio 24: “Ho dovuto prendere un mutuo in banca per pagare la seconda rata”, disse.

Il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan ha pensato bene di eliminargli il problema almeno per l’abitazione principale. Finalmente la magione composta di due piani, 5 bagni, 10 camere, due ripostigli, due cabine armadio, per complessivi 14 vani catastali più una bella piscina nel verde circondata da un giardino di 1.300 metri, non pagherà più i 2.750 euro della vecchia Imu ma nemmeno i 1.477 euro che comunque costava la Tasi di Letta al povero Brunetta. L’ex ministro non pagherà nulla come un qualsiasi nullatenente.

La politica di sinistra oggi funziona così: la tassa sparisce per tutti, proprietari di ville con piscina e reddito di 300 mila euro lordi all’anno, come Brunetta, e poveracci possessori solo di una stamberga. Per comprendere l’effetto concreto del provvedimento appena varato, abbiamo provato a verificare quanto risparmieranno, oltre a Renato Brunetta, i ministri del governo Renzi. Ovviamente, non al fine di dimostrare inesistenti conflitti di interesse, ma per far comprendere quanto possa essere insensato distribuire un vantaggio simile a pioggia, senza tenere conto del reddito dei beneficiari. L’articolo 53 della Costituzione stabilisce la progressività del carico fiscale mentre l’abolizione secca della tassa sulla prima casa ha un effetto addirittura regressivo nel senso che avvantaggia di più i ricchi e di meno i poveri. Proprio guardando agli effetti positivi e ingiustificati sul loro portafoglio della norma, i ministri avrebbero potuto rendersi conto della sua iniquità.

Prendiamo il caso della villetta del presidente del Consiglio in quel di Pontassieve, a pochi chilometri da Firenze. Matteo Renzi e la moglie Agnese nel 2016 risparmieranno (grazie alla riforma dello stesso Renzi, ma questo è un dettaglio davvero insignificante) 797 euro, tanto hanno versato nel 2015 per la Tasi sulla prima casa. Qualcuno potrebbe chiedersi perché il possessore di una villa con 12,5 vani catastali composta di salone, 4 stanze, 4 bagni, soffitte e giardino di mille metri, del valore secondo gli stessi Renzi pari a 1 milione di euro, non debba pagare un euro di imposta a prescindere dal reddito (nel caso di Renzi 99 mila e 900 euro nel 2014).

Anche il ministro Pier Carlo Padoan non avrà gioco facile nello spiegare perché il suo appartamento di 9 vani catastali a Roma, sulla via Cassia, non pagherà più 1.073 euro di Tasi ogni anno. Padoan è un economista e ha cercato di resistere finché ha potuto al suo premier. Renzi però voleva a tutti i costi abolire l’imposta per tutti in modo da confezionare uno slogan facile e “berlusconiano”. Padoan avrebbe potuto stabilire dei criteri di esclusione sulla base del reddito, ma alla fine si è piegato ammettendo: “È vero che avvantaggia soprattutto i proprietari più ricchi, ma occorre tenere presenti le peculiarità di un paese come l’Italia, dove più di tre quarti delle famiglie possiedono un immobile”. Tradotto: tre quarti dei contribuenti-elettori si ritroveranno sul conto corrente un vantaggio concreto (non pagando la Tasi sulla prima casa) proprio a ridosso delle prossime elezioni amministrative.

Alla fine la linea Renzi ha vinto e il ministro Padoan non ha potuto escludere dall’abolizione della Tasi nemmeno un caso estremo come quello del contribuente Pier Carlo Padoan, un tale che risparmierà 1.073 euro nonostante abbia guadagnato nel 2014 la bellezza di 269 mila euro. Un discorso simile può valere per Marianna Madia. Il ministro della Semplificazione guadagna 101 mila euro lordi all’anno e forse avrebbe potuto far fronte alla Tasi di 1.162 euro per la sua bella casa romana. Invece dal 2016 non pagherà nulla, come il ministro degli Esteri Paolo Gentiloni Silveri: ai suoi 109 mila euro di reddito annuo, non dovrà più sottrarre i 1.024 euro di Tasi dovuti nel 2015 per il suo appartamento a due passi dal Quirinale.

Il ministro della Difesa, Roberta Pinotti, per la sua casa di Genova risparmierà 875 euro di Tasi. Mentre il ministro dei Beni culturali, Dario Franceschini, si fermerà a 357 euro per la sua abitazione di Ferrara. Il ministro dell’Interno Angelino Alfano avrà solo 258 euro in più da spendere grazie all’abolizione della Tasi sulla sua casa di Agrigento e il ministro dell’Agricoltura Maurizio Martina potrà smettere di pagare 325 euro per una casetta nel Bergamasco. Il guadagno scende parallelamente alla ricchezza patrimoniale. Infatti il ministro della Salute, Beatrice Lorenzin, come altri ministri e come milioni di italiani, non avrà alcun guadagno perché non possiede abitazioni. Poco male. In fondo, lei è di centrodestra e non ha chiesto il voto agli italiani per fare una politica di sinistra.

Da il Fatto Quotidiano di sabato 17 ottobre

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